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La scrittura come cura e conoscenza di sè

 

Il potere della scrittura è conosciuto da tempo, ha radici antiche. Molti autori quali Bruner, Pennebacker scrivono della scrittura come metodo di cura e ci inoltrano al concetto di scrittura come cura e conoscenza del sé.

Bruner ci spiega che la Cultura è come una “cassetta per gli attrezzi”. In questa cassetta l’insegnante deve andare alla ricerca dello strumento più appropriato e in questa ricerca la Narrazione è attività da considerare prioritaria, la forma espressiva per antonomasia, la più utilizzata nella storia dell’essere umano. La scrittura, ci fa capire Bruner, ci aiuta a dare significato a ciò che ci circonda, ai nostri vissuti. La Narrazione va quindi intesa come pratica educativa e formativa che nella Memoria trova un suo assunto da cui partire per creare costruzione di significato e trasformazione della fatica in opportunità. La scrittura va intesa quindi come strumento di interpretazione.

Pennebaker ci introduce alla Scrittura Terapeutica perché ci dice che mettere su carta i nostri pensieri, rispetto ad una sofferenza, ad una esperienza di dolore, è terapeutico. Egli ci parla di “potere della scrittura” e fa riferimento alla scrittura espressiva, perché per riconciliarsi con la vita e migliorare le proprie capacità è fondamentale entrare nelle nostre emozioni, nelle nostre fatiche e, tramite lo scritto, alleggerire il peso dei nostri dolori, delle nostre frustrazioni.

Per mia esperienza diretta, la penna può veramente ricucire la ferita. Lo stesso psichiatra Eugenio Borgna nel suo bel testo “Saggezza” ci parla di Cura della parola, di medicina della parola.

Le parole non sono di questo mondo, sono un mondo a sé stante, sono creature viventi, sono prigioni sigillate dal mistero, e a ciascuno di noi è assegnato il compito di togliere a mano a mano questi sigilli, al fine di spalancarne il senso….scegliere le parole capaci di fare del bene, e di essere portatrici di cura, è un lavoro: molto faticoso…le parole che ci salvano, le parole sagge, non sono facili da trovare…le emozioni e le passioni sono rivelatrici del senso e del destino dell’esistenzaLe parole vivono, si modulano, sfuggono, si modificano nelle diverse situazioni in cui ci veniamo a trovare, e non sono mai inerti e mute, ma dicono sempre qualcosa, sono impegnative per chi le dice, e per chi le ascolta, cambiano di significato nella misura in cui cambiano i nostri stati d’animo e le nostre emozioni, le nostre attese e le nostre speranze” (Saggezza di Eugenio Borgna)

Lo svelamento della nostra storia che ci ha costruito come donne e uomini può portarci lontano, come lo insegna la mia stessa esperienza e quella di molti altri, se sappiamo accogliere la sofferenza che da essa ne deriva. La scrittura può divenire un ottimo aiuto per chi cerca come noi di allargare la propria conoscenza interiore o di nutrire una maggiore consapevolezza verso le cose del mondo. La chiamo terapeutica perché attraverso la mia autobiografia (e successivi testi e altri scritti da testimoni) si evince quanto essa ci possa aiutare nell’elaborazione di un lutto anche difficile da accettare, a superare un trauma di cui molti di noi portano sul proprio corpo stigmate evidenti, a sciogliere nodi, a risolvere affettività conflittuali. Dare alla luce quelle emozioni che ci sono appartenute e che ci appartengono è molto faticoso, ma umanamente rigenerante per la nostra mente. Faccio riferimento alla scrittura terapeutica come atto performante perché, spesso inconsapevolmente, essa agisce sul nostro pensiero, sui nostri comportamenti, ci aiuta ad agire e a non subire la vita ma a diventarne protagonisti.

Tutto è iniziato in quel lontano 1998 dove la malattia oncologica ha rappresentato lo spartiacque fra il prima e il dopo. Esercitavo allora la mia professione come Architetto e la malattia irrompe nella mia vita dettando nuove regole e alchimie. Inizio a scrivere con ancora i drenaggi che proteggevano il mio corpo e da quelle prime lettere nasce un percorso introspettivo di forte valenza terapeutica. Nasce così il primo testo Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso, il primo dei 15 testi che negli anni produrrò. Da esperienza individuale questa si è trasformata in esperienza collettiva fino a diventarne un Metodo che è entrato sempre più nel Sociale (Associazioni, Ospedali, Case circondariali, Scuole…) per giungere ad essere percorso di formazione attraverso Master (quarta edizione) rivolto a professionisti della Cura.  

Nel lavoro svolto insieme ai corsisti, la mia autobiografia e alcune letture dei testimoni presenti nel gruppo sono divenute e diventano lo strumento, il primo strumento per entrare in contatto “con l’altro” e organizzare da quell’incipit (lettera a me stessa-o) il lavoro sull’interiorità.

Dopo aver messo a nudo una parte della esperienza della conduttrice (lettera a me stessa da “Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso”), il partecipante si sente indotto a produrre una narrazione simile, a scavare nella propria interiorità al fine di giungere a un tema condiviso, per quanto soggettivamente elaborato. Nel lavoro condiviso i partecipanti evidenziano l’importanza del non sentirsi giudicati, l’appartenenza ad una sofferenza comune, cercando di limitare i pregiudizi.

Emerge nel lavoro di gruppo, attraverso lo strumento della scrittura condivisa, la consapevolezza di un compito inusuale ma importante per imparare ad approfondire sé stessi in un lavoro auspicato di cucitura con gli affetti che diventano, in step successivi, pietra miliare su cui costruire rapporti più solidi e propositivi.

La scrittura di chi partecipa al lavoro di gruppo, da ruvida, come traspare all’inizio del percorso, diviene sempre più fluida e precisa, via via che aumenta la consapevolezza della sofferenza attraversata ed analizzata, delle fragilità caratteriali. 

Il gruppo impara a fraternizzare con i sentimenti altrui, a percepire l’altro come soggetto carico di una storia emotiva importante e ricca di esperienze toccanti. La lettera dedicata a sé stessi costituisce la base di partenza che, incontro dopo incontro, consente la messa a punto del meccanismo conoscitivo, dell’osservazione e dell’esplorazione interiore, modalità contrassegnate dalla stesura di altre più approfondite lettere.

Il gruppo produce, con crescente partecipazione via via che il lavoro procede per step successivi, e in fase di stesura e in fase di lettura, una condivisione e una solidarietà crescenti, soprattutto quando si giunge al momento di trattare temi delicati o percepiti ancora come ferite di disagio dai singoli partecipanti: lettere dedicate ai propri cari o a persone pur sempre decisive, nonostante l’incapacità di raccontare loro. Vengono così lette ed elaborate lettere indirizzate a persone amate, di ieri e di oggi. Lettere scritte a persone essenziali della nostra vita: genitori, nonni, familiari più stretti, figure carismatiche che hanno segnato profondamente i pensieri e le azioni dei soggetti partecipanti.

Utilizzare la forma epistolare, la lettera come approccio terapeutico (a me stesso, a mia madre, etc.,) facilita l’apertura della sequenza temporale che dall’oggi consente al soggetto di ripercorrere le tappe salienti della propria esistenza, dall’infanzia all’età adulta. La forma epistolare diviene la più duttile per riportare alla memoria, senza troppe censure, le emozioni appartenute, i dispiaceri, i sentimenti più intensi. Questo lavoro, attraverso la scrittura, si rivela efficace, fondamentale: mette in luce, attraverso uno scavo interiore, nodi esistenziali recenti e di vecchia data, fragilità relazionali, antiche paure.

Man mano che il lavoro procede gli stati d’animo negativi rivissuti dal soggetto che si racconta oralmente cominciano a perdere, riga dopo riga, una parte dell’ansia che li caratterizza, mentre quelli positivi, per quanto timidamente scritti ed espressi, trovano nel sorriso e nella naturale accoglienza di alcuni un motivo in più per essere sperimentati di nuovo.

Alcuni partecipanti esprimono ripetutamente il desiderio di confermare questa esperienza con la scrittura e di estenderla in futuro ai successivi progetti con step distanziati temporalmente. Esprimono il loro bisogno di apertura per la condizione serena che ne consegue.

In alcuni soggetti si evidenzia il bisogno di esprimere più facilmente la propria interiorità con i propri familiari e l’importanza di estendere il lato emotivo, non visto come disvalore ma come valore aggiunto all’esperienza.

Il soggetto inizia, man mano che il lavoro sviluppa le sue aderenze, a scorgere un segno di fiducia e di speranza anche come propria capacità di misurare e valorizzare la memoria per rendere la propria vita meno dolorosa e artefice di un senso nuovo.

Davanti al foglio bianco e dentro la bolla di solitudine propria di chi è intento a pensare per scrivere, diviene più facile acquisire una particolare centralità, sentirsi artefici di un proprio spazio riflessivo, in cui raggiungere, con un carico emotivo sopportabile, un ulteriore gradino di consapevolezza.  Nel seguire il pensiero che si traduce in linee orizzontali, delimitiamo i nostri affanni, diamo corpo verbale al disagio, delineiamo visivamente il nostro malessere e, contemporaneamente, ci apriamo uno spiraglio sul futuro. Prima di scrivere siamo portati a indugiare nelle nostre paure, a conviverci senza mai dar loro un volto e un nome, a permettere che offuschino il nostro più vivo bisogno di equilibrio interiore, condizione imprescindibile per ogni duraturo cambiamento. Anche per questo la scrittura, soprattutto all’inizio, è faticosa, risulta impegnativa, chiede una concentrazione e un’energia cui non siamo abituati.

Lo sforzo richiesto, tuttavia, è indispensabile per trasformare l’esercizio in mezzo espressivo, per commutarlo in atto introspettivo e comunicativo, a sua volta generatore di una scrittura personale che darà forza, sostegno e visibilità ad espressioni interiori nuove: non a caso, nei gruppi di lavoro, dopo la fatica iniziale, dopo essere riusciti a smuovere dentro energie latenti, non è infrequente scoprirsi portati alla scrittura, consapevoli di un talento narrativo tutto da esprimere. Alla prevedibile difficoltà della prima lettera, si aggiunge, poi, la zavorra dei sentimenti negativi – rabbia, rancore, ansia, paura, senso d’impotenza, frustrazione, etc. – in attesa di essere definiti e contestualizzati prima del pieno controllo, della gestione matura, preludio fondamentale per il passo successivo: la loro trasformazione in qualcosa di positivo. Per riuscire a trasformarli, però, c’è bisogno di guardare avanti, di combattere contro l’incantesimo della consuetudine, di lasciarsi alle spalle il finto o illusorio benessere acquisto: c’è da attraversare il fiume, insomma, c’è da oltrepassare una sorta di guado terapeutico, la prova di coraggio che ci insegna a trasformare in altro la paura del dolore, le angosce e le ansie legate a stati di sofferenza più o meno consapevoli. Proprio come succede nella vita non scritta, in quella reale, sempre pronta in ogni momento a presentarci le sfide da superare, anche qui, nel nostro lavoro-percorso di scrittura, possiamo scegliere fra due precise opzioni: rinunciare al guado, fermarci per negare il cambiamento – non stimolarlo nemmeno – restare in attesa, tirarci indietro, oppure scrollarci di dosso la pigrizia, l’indifferenza, l’apatia e attivarci per proseguire, insistendo e impegnandoci per toccare, il più presto possibile, l’altra sponda: solo giunti dall’altra parte del guado, con la riva di partenza oramai alle spalle, è possibile dare alla fatica della traversata il giusto e meritato senso.  Anche nel lavoro di gruppo, quindi, come nella vita, i successi acquisiti sono direttamente proporzionali all’energia investita, all’intensità delle battaglie condotte per raggiungerli. È risaputo come noi evitiamo di allontanarci dalle nostre sicurezze, dalle nostre certezze, concrete e mentali, perché abbiamo paura delle cadute, dell’imprevisto che ci sconcerta, delle novità che non controlliamo: preferiamo rimanere nel nostro stato di insoddisfazione e di disagio, anche a costo di risultare estranei a noi stessi. Ci piace far finta di non sapere che la momentanea perdita di equilibrio, il passo verso l’ignoto, i primi metri del guado, quella “caduta” da affrontare, costituiscono il trampolino che ci proietta verso la salvezza.

Dalla mia esperienza posso dire che attraverso quanto scritto nelle mie lettere del 1998, sono riuscita a formulare interrogativi che per anni avevo nascosto e taciuto: dubbi, illusioni e fragilità che, nel tempo, mi hanno resa più sicura nel modo di pensare e più determinata nell’agire. Esserne stata consapevole, aver imparato a dar loro il giusto nome, mi ha aiutato nelle scelte più delicate. Questo lavoro, attraverso la scrittura, si è rivelato oltremodo efficace, fondamentale: ha messo in luce, attraverso un lungo scavo interiore, nodi esistenziali recenti e di vecchia data, fragilità relazionali, antiche paure in agguato nella mia mente. Solo col tempo, senza fretta e forte di un nuovo modo di pensare e vedermi, ne avrei desunto la sua strategica importanza per il mio nuovo equilibrio.

Con la scrittura, singolarmente o in gruppo abbiamo la possibilità, pertanto, di sciogliere molte resistenze, anche le più dense, quelle refrattarie ad ogni trattamento. I benefici dell’operazione di scrittura compiuta dal singolo trovano una felice corrispondenza, incluso un ampliamento, nella condivisione della lettura. Nulla risulta essere così efficace e di sostegno alla persona sofferente come il riconoscere sul volto degli altri le paure o le emozioni trasmesse dalla propria voce.

“[…] Ci sono sguardi che si illuminano, che si accompagnano ad una vertiginosa trascendenza, e ad una assoluta trasparenza, anche quando i volti sono divorati dalla malinconia e dall’angoscia, dallo smarrimento e dalla disperazione. Ci sono sguardi che implorano aiuto, e che fiammeggiano, in volti apparentemente aridi e ghiacciati, impassibili e nondimeno ardenti. Ci sono sguardi che si armonizzano con lo stato d’animo dei volti dai quali sgorgano, e ci sono sguardi in dissonanza radicale con i volti. C’è bisogno di intuizione, di ininterrotta logica del cuore, di impalpabile leggerezza dell’essere, se si vuole avvicinarsi al mistero del guardare.” E. Borgna. Di armonia risuona e di follia, Feltrinelli, Milano 2012.

Bibliografia

  • Borgna Eugenio, Saggezza, IL Mulino, 2019.
  • Borgna Eugenio, Di armonia risuona e di follia, Feltrinelli,2012.
  • Bruner Jerome Seymour, Alla ricerca della mente: autobiografia intellettuale, Roma, Armando (1997).
  • Bruner Jerome Seymour, La cultura dell’educazione, Milano Feltrinelli 2000.
  • W.Pennebaker James, Joshua M. Smyth, Il potere della scrittura, Tecniche nuove, 2017.
  • Sonia Scarpante. “Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso”. Ed. Melusine, Milano (2003).
  • Sonia Scarpante. “Non avere paura. Conoscersi per Curarsi”. Ed. San Paolo (2010).
  • Sonia Scarpante “I nodi di Maura”. Ed. San Paolo, Milano (2012).
  • Sonia Scarpante “La scrittura terapeutica”. www.ilmiolibro.it, Milano (2012).
  • Sonia Scarpante “Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica”. Edi Science, Siracusa (2015).

Sonia Scarpante

Laureata in Architettura con specializzazione allo IED, scrittrice con 15 testi pubblicati, docente e formatrice con Metodo Scarpante anche attraverso Master, collabora con diverse redazioni e Associazioni, Presidente dell’Associazione “ La cura di sé”.

E-mail: sonia.scarpante@fastwebnet.it

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