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Dall’università al PFFD: una riflessione in retrospettiva

Un viaggio che parte da lontano
La prima volta che ho letto il termine lifelong learning, ho immediatamente pensato fosse una bellissima espressione, che mi avrebbe permesso di ottenere un bel voto in uno dei tanti esami universitari inerenti alle metodologie e gli strumenti dell’apprendimento. All’epoca non sapevo quanto fosse attuale e quanta importanza avesse questa espressione, sia perché ero una giovane matricola universitaria, sia perché fino a quel momento lo studio era stato la mia unica attività a tempo pieno. Mi piace pensare che davo per scontato un qualcosa che, in realtà oggi, ritengo la base del mio percorso, non solo nell’istruzione formale, ma anche oltre, sulle scrivanie aziendali e nelle passioni personali. La scelta dell’università, quantomeno per un/a giovane ragazzo/a, si pone infatti in un momento particolare: immediatamente dopo il termine del percorso scolastico essere disorientati è una cosa normale, ma questo purtroppo genera delle “non scelte” che poi ricadono, a volte più, a volte meno, sul proprio futuro. Attenzione, ho adoperato il termine “non scelta” ponendolo in accezione negativa, perché spesso fare l’università non sempre è una scelta consapevole. L’unica cosa che mediamente un/a ragazzo/a sa fare a quell’età, è forse studiare, stare dietro ai libri, ascoltare professori, per alcuni, i più fortunati, è saper prendere appunti. Ma al netto degli interesse (e si spera delle passioni) che guidano la scelta di questa o di quella facoltà, decidere di diventare una matricola universitaria comporta “semplicemente” rimanere nel ruolo che fino a quel momento si è ricoperto, un posto sicuro la cui “unica preoccupazione” è portare a casa qualche altro bel voto e magari qualche conoscenza in più (qui si potrebbe aprire un capitolo di carattere socio-culturale molto delicato, visto l’alto tasso di suicidi tra i giovani universitari italiani, che però non è oggetto di riflessioni in questo articolo e che rimando a discussioni più appropriate).

Ma quindi, posso dire di aver fatto una “scelta” o una “non scelta”? Onestamente, non saprei. Sono sicuro di aver scelto la facoltà giusta, di aver maturato le conoscenze necessarie per comprendere un pò meglio ciò che mi sta intorno, ma probabilmente il ruolo dello studente è anche il ruolo che all’epoca mi si addiceva meglio. Ed oggi ho compreso che è un ruolo che non voglio abbandonare.

Finita l’università, purtroppo siamo stati costretti a casa per vari mesi, un periodo che è ancora limpido nella memoria di tutti, e questo mi ha permesso di avere molto tempo libero. Ne approfittai quindi per seguire webinar e corsi gratuiti, un po’ per passare il tempo, un po’ perché non so stare fermo, e in tale frangente ho conosciuto la realtà con la quale ho poi effettuato il tirocinio professionalizzante e in seguito il primo vero lavoro. Anche in questo caso quindi la mia volontà di apprendere qualcosa di nuovo mi ha portato a scoprire opportunità che non stavo cercando, ma di cui ho riconosciuto il valore. In questo caso, infatti, il voler apprendere qualcosa di completamente nuovo, è diventato un valore su cui ho basato, e tutt’oggi baso, la mia crescita personale e professionale.

Quando mi presentai al colloquio conoscitivo per il tirocinio professionalizzante, mi definii una “spugna”, qualsiasi cosa avrei fatto, sarei stato felice di apprenderla, farla mia, farla diventare un pezzo del puzzle che stavo costruendo e che avevo intenzione di scoprire. Durante questi anni, infatti, ho respirato e vissuto la formazione, andando a toccare tutti i possibil ruoli: il discente, il tutor, il progettista, il docente e dalla mia personale esperienza posso affermare che chi fa questo lavoro non deve mai essere sazio di conoscenze e competenze. Guardando indietro, si delinea ai miei occhi un percorso sfaccettato, con tanti bivi, scelte fatte e opportunità, ma questa linea del tempo sembra avere una costante che ne guida la direzione: il voler imparare cose nuove, il voler conoscere ciò che mi sta intorno e il riconoscere le opportunità di crescita. Proprio in quest’ottica, non potevo non venire a conoscenza dell’AIF e del Percorso di Formazione per Formatori Digitali.

L’esperienza formativa del PFFD4
Conosciuto e seguito fin dalla prima edizione, ho avuto modo di prendere parte alla quarta edizione del PFFD proprio sulla spinta di quella continua voglia di conoscenza e consolidamento delle competenze, che ho avuto modo si sperimentare durante questi anni. Per chi non ne fosse a conoscenza, il PFFD (acronimo di Percorso di Formazione per Formatori Digitali) è un percorso pensato, progettato ed erogato dall’AIF per creare e condividere conoscenze e competenze in tutti coloro che desiderano apprendere lo stato dell’arte della formazione moderna, le basi teorico-metodologiche della formazione classica, lo svecchiamento dei modelli d’aula e la loro trasformazione in un nuovo linguaggio, proprio del digitale. Il percorso infatti intende fornire ai partecipanti non solo le conoscenze di base della formazione e dei modelli dell’apprendimento, ma intende anche condividere i linguaggi della formazione in un mondo che, ormai, definire digitalizzato è poco. Quelle che sono le regole dell’apprendimento e della formazione classica, infatti, trovano nuove sfide nella comunicazione digitale, a cui molti però non sono ancora avvezzi, a volte semplicemente perché non si hanno gli strumenti per potersi rendere presenti sul web. Il PFFD agisce proprio in questa direzione: condividendo una cultura della formazione che necessita anch’essa di continua evoluzione, studio e messa in pratica. Personalmente, da un punto di vista valoriale, posso dire di essermi immediatamente trovato coinvolto nella direzione del progetto, perché ne ho immediatamente condiviso gli ideali, i valori guida e la volontà di adoperare gli strumenti digitali nel miglior modo possibile. Volendo generare consapevolezza delle possibilità offerte da questi strumenti, infatti, abbiamo preso parte a laboratori didattici di carattere pratico, abbiamo vissuto la formazione a distanza al meglio delle possibilità che oggi la tecnologia ci permette, e cosa non da poco, abbiamo avuto modo di vivere esempi illustri di docenti formatori che, con grande esperienza, ci hanno condotto durante tutto il percorso, dimostrandoci come la formazione nel digitale non deve essere assolutamente un formazione unidirezionale. Per poter ottenere i risultati desiderati, infatti, non possiamo ridurre il momento formativo al semplice atto di ascolto, e questo vale sia nella formazione d’aula, sia in quella digitale. E’ pur vero però, che mentre siamo più abituati a pensare all’aula come momento interattivo, abbiamo maggior difficoltà a creare un percorso che abbia le stesse caratteristiche anche a distanza. Proprio in quest’ottica si inserisce il valore del PFFD.

Se sapere è potere, allora nel nostro lavoro dobbiamo essere consapevoli delle variabili si possono presentare, delle metodologie più corrette da sfruttare, degli strumenti da applicare e questo deve passare necessariamente dalla continua volontà di apprendere ed imparare. Nella quarta edizione del PFFD, infatti, ho avuto modo di conoscere colleghi e docenti che hanno fatto dell’apprendimento non solo il proprio lavoro, ma anche il proprio stile di vita. Questa condivisione ha permesso al nostro gruppo di diventare prima compagni di corso, poi gruppo di lavoro ed infine colleghi interessati ai progetti, alle ambizioni, ai percorsi che ognuno di noi ha fatto e che farà. Se è vero che le conoscenze e le competenze dimostrate in questo percorso hanno un valore, è pur vero che per poter essere formatori, dobbiamo essere prima di tutto delle persone attente ai bisogni, ai desideri e alle difficoltà di chi affronta il percorso con noi. Sia esse colleghi/e, sia esse discenti. E questo deve avvenire assolutamente anche nel digitale.

A mio avviso, il vero valore del PFFD è quindi duplice. Da una parte ci viene presentato un percorso tecnico, a volte arduo, con delle sfide che bisogna saper affrontare e che richiedono un certo impegno. Ma dall’altra unisce le persone, rendendo il digitale, dallo strumento meno intimo per definizione, a ponte che è in grado di superare tutti i limiti, e non mi riferisco solo a quelli geografici.

Uno sguardo in prospettiva
Parlavamo dunque di lifelong learning. Mi piace pensare che quella matricola universitaria che ha pensato al semplice voto, già all’epoca aveva capito l’importanza del continuare ad impegnarsi, apprendere, scoprire, provare cose nuove. Penso che oggi più che mai, guardare al futuro sia molto difficile, perché esso ci appare incerto, labile, sfumato. Reputo però che gli strumenti per poter far fronte a tale instabilità siano alla portata di tutti. L’unica cosa che realmente conta, anche dopo uno stop forzato o il ripartire da zero (e alcuni miei compagni del PFFD4 sono l’esempio di questo) è la volontà di capire i propri limiti, di mettersi in gioco e, si spera, uscirne arricchiti.

 

Mario Santaniello

Laureato in Psicologia applicata ai Contesti Istituzionali, svolge attività di tutoraggio e-learning e docenza in ambito Education sulle tematiche della robotica e delle nuove tecnologie 4.0.

E-mail: mario.santaniello94@gmail.com

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