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The Laboratory of the future – Biennale Architettura 2023

Una camminata (troppo veloce) all’Arsenale di Venezia per scoprire cosa c’è da imparare per il mondo della formazione oggi, dal mondo dell’arte.

Ho passato una giornata a camminare negli spazi incredibili ed emozionanti, splendidi anche senza alcun allestimento, dell’Arsenale di Venezia.
Antico complesso di cantieri navali invidiati da molte monarchie e repubbliche del passato marinaro. Un’immensità di spazi, bacini d’acqua, mattoni e colonne che sono state l’orgoglio della Serenissima per molti secoli.
Occupa circa un terzo della superficie della città per un’estensione di 478.000mq.
Per saperne di più rivolgetevi a Wikipedia e leggete il bel libro di Joseph M. Juran “La qualità nella storia” [1]Joseph M. Juran La qualità nella storia – Sperling e Kupfer Editore – 1997 che dedica un intero capitolo ad uno dei casi più famosi di processo di qualità: la costruzione delle “galere” e la vita e l’organizzazione del lavoro dei lavoratori “arsenalotti”, maestranze fiere e orgogliose. All’Arsenale di Venezia si è arrivati ad impiegare fino a 2.000 unità durante i periodi di pieno lavoro.

Questo spazio così ricco di storia ospita, alternando anno dopo anno, la Biennale Arte e la Biennale Architettura, assieme ai padiglioni dei Giardini Napoleonici che siti nel Sestiere di Castello, occupano l’area verde più estesa di Venezia.

Quest’anno è il tema dell’architettura e il tema “Laboratory of the future” è stato affidato all’architetta, docente di architettura e scrittrice Lesley Lokko, donna e africana di origine.
Nel 2020 ha fondato in Ghana, ad Accra, l’African Futures Institute.

Sappiamo che immaginare un mondo, degli scenari, immaginare un futuro significa per la mente umana avvicinarsi alla realizzazione dei sogni. Funzioniamo per astrazioni, viviamo costruendo visioni e siamo, unici tra gli esseri viventi di questo pianeta (per quanto ne sappiamo) in grado di immaginare il nostro futuro. Che siano i devastanti e consueti scenari di guerra, sicuramente immaginati e ricercati da tutti i signori della guerra, ingordi industriali o pazzi dittatori egoici o fondamentalisti, o che invece siano gli sguardi verso il futuro delle nuove generazioni, di coloro, persone, donne e uomini che immaginano un mondo migliore, quello che immaginiamo ha buone possibilità di avverarsi.

Cosa vede la formatrice, il formatore impegnati in una lunga camminata tra questi spazi allestiti da tante nazioni? Intanto che qui siamo uniti da un tema così grande, la sostenibilità, il futuro del pianeta così come lo abitiamo ora, questione per cui ci vorrebbe ragionevole condivisione ed invece restiamo divisi dai confini delle nazioni che per loro natura dividono, diversificano, esasperano le diversità. Le diversità, non le differenze, che sono ricchezza ma le diversità che sono separazioni.

Il tema di quest’anno ci chiama a ripensare il modo in cui è stato costruito questo mondo occidentale che ha imposto o tenta di imporre un modello unico di vita, consumi, desideri. Un modello arrivato alla fine, ormai evidentemente insostenibile ma difeso e sostenuto da chi cieco di visioni del futuro non può e non vuole cambiare niente del proprio modo di vivere.
E qui c’è già da riflettere sulla paura del cambiamento, sulle resistenze a prendere in considerazione ogni evidenza sull’insostenibilità di quanto la specie umana ha imposto al pianeta Terra.

Una donna africana, la curatrice, ha molto da raccontare in quanto è cosciente e consapevole di essere parte di un mondo che non ha potuto immaginare la propria storia ma ne è stato espropriato attraverso processi durissimi di colonialismo e devastazioni territoriali e culturali.

Racconta il presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto: “Quando a dicembre 2021 su mia proposta il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia ha approvato la nomina di Lesley Lokko quale curatrice della 18a Mostra Internazionale di Architettura, la principale ragione della scelta stava nel dare la parola a una voce che veniva dall’esterno del mondo nord-occidentale […] poter ascoltare dall’interno le diverse voci che vengono dall’Africa e dialogano con il resto del mondo, costringendoci ad abbandonare un’immagine di quel continente e dei suoi abitanti che abbiamo perpetuato per secoli […] Questo cambio di prospettiva nell’incontrare un continente che anagraficamente è il più giovane della terra, e oggi diviene per molti paesi un interlocutore alla pari per accordi economici sul piano dell’approvvigionamento energetico o degli investimenti infrastrutturali, porta con sè una grande rivoluzione.”[2]labiennale.org – Architettura – 18.Mostra

Camminare tra gli allestimenti delle diverse nazioni ha voluto dire prendere contatto con gli sforzi di riflessione che ogni Paese sta facendo.
Colpiscono le enormi colonne illuminate in cui la Cina presenta, incastonati, i plastici delle gigantesche città del futuro (e dell’attuale presente) alla ricerca di una difficile convivenza tra l’immagine ecologica rappresentata e il proprio attuale contesto umano e tecnologico.

Il Messico invece allestisce un campetto da basket campesino [3]Campesino è il contadino povero, dell’America centro-meridionale. Lo spazio del campetto da basket è quindi volutamente uno spazio inserito nei contesti più poveri per divenire luogo di … Continue reading, con gradoni dove ragazzi e ragazze sostano e parlano tra loro a ricordare come lo sport può essere luogo di aggregazione, di comunità. Giovani visitatori della Mostra si tolgono la felpa ed iniziano a giocare sotto gli occhi di amici che occupano lo spazio sociale lasciato a disposizione. Lo spazio del campetto nelle città e nelle campagne del Messico nasce per ospitare partite, incontri, riunioni, luoghi del far politica come di fatto è successo nella storia del Messico dopo la decolonizzazione.

Colpisce il padiglione del Bahrain che propone un piccolo giardino desertico dove è illustrato come viene riutilizzata l’acqua di condensa generata dai migliaia di condizionatori che garantiscono il freddo in un paese caldo e desertico. L’acqua viene meticolosamente raccolta, canalizzata e riutilizzata per l’irrigazione dei campi. Un faticoso sforzo di diminuzione dell’impatto ambientale di un paese ricco che è stato terribilmente povero e che ha abbracciato il modello occidentale ma forse ci riflette su.

Il padiglione della Turchia mette al centro il problema degli edifici inutilizzati e abbandonati. Interi siti abitativi ormai deserti, come molti paesi della nostra montagna, del nostro centro e sud Italia, mentre si continua a costruire, senza attenzione, senza ascolto del territorio. Questi edifici, questi paesi sono veri fantasmi volutamente ignorati dall’economia che preferisce costruire ex novo. Filmati mostrano la demolizione di edifici, spettacolarizzata nella modernità, nel gesto del falso rinnovo, carica invece di violenza. Immagini e immagini si riavvolgono all’indietro mostrando l’esplosione dalla fine all’inizio, dalla distruzione al ritorno all’interezza dell’edificio. Si coglie la tragedia del manufatto umano senza alcun valore, senza anima, senza storia.

Si cammina così tra i 22 Paesi ospitati nello spazio dell’Arsenale fino ad arrivare all’edificio delle Corderie.

Le Corderie sono state costruite nel 1303, misurano 317 metri di lunghezza, 21 di larghezza con un’altezza di 21.10 metri. L’edificio è caratterizzato da un’imponente copertura in capriate lignee e da due file di colonne in muratura (6 metri di altezza per 1 di diametro) che suddividono la superficie in tre navate e sostengono due soppalchi. Le Corderie erano un tempo adibite alla costruzione di gomene, cavi e cordame per le navi. [4]Fonte labiennale.org.

Quando si arriva alle Corderie ci si immerge in uno spazio, voluto dalla curatrice Lesley Lokko, allestito con opere di giovani artisti, africani e diasporici (lontani e privi dei paesi di origine a causa di fughe, migrazioni, conflitti))  i Guest from the Future (gli Ospiti dal Futuro) che ben rappresentano i temi della mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione.
Ed è un trionfo di colori, tessuti, arazzi, di installazioni che scendono dai soffitti, di visioni dell’oggi e di ciò che potrà essere. Un susseguirsi di spazi con filmati e testimonianze dai mondi non occidentali: Amazzonia, Mongolia, Etiopia, paesi africani e tanto altro.

Cosa possiamo imparare? A vedere oltre che guardare, a vedere le cose dal punto di vista dell’altro, a rinunciare al nostro antropocentrismo, al presunto primato della cultura occidentale, capitalista e consumista, ad ascoltare le voci di chi non ha parola.
Che riflessioni portiamo con noi per chi sta nel campo dell’educazione, della formazione? Possiamo riflettere su come rimettere al centro l’etica, il valore etico che deve permeare ogni atto educativo, formativo, per non perdere di vista il sogno, il desiderio, l’immaginazione del futuro che appartiene a chi verrà domani.

Ogni piccolo atto di ogni singola persona ha un grande valore, una grande potenza e questa conoscenza, questo sapere esperienziale può guidare ogni progetto, ogni atto che chiamiamo educativo o formativo.

“La speranza è una valuta potente” dichiara la curatrice Lesley Lokko.

La speranza e la fiducia sono alla base di ogni atto educativo.

 

Anna Malaguti

Coordinatrice editoriale di Learning News. Formatrice ed esperta di processi organizzativi, coach, praticante di mindfulness qualificata al 1° livello MBSR. Dal 2011 al 2016 presidente di delegazione AIF Veneto. Fino al 2021 responsabile del Servizio Formazione del Comune di Venezia e nel gruppo nazionale AIF PA, ora posso dedicarmi ai miei interessi e passioni.  

E-mail: aiflearningnews@gmail.com

Riferimenti

Riferimenti
1 Joseph M. Juran La qualità nella storia – Sperling e Kupfer Editore – 1997
2 labiennale.org – Architettura – 18.Mostra
3 Campesino è il contadino povero, dell’America centro-meridionale. Lo spazio del campetto da basket è quindi volutamente uno spazio inserito nei contesti più poveri per divenire luogo di aggregazione popolare
4 Fonte labiennale.org

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