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Tecnologie e lavoro: impatti presenti e futuri

Articolo tratto dall’intervento #OpenAIF del 7 dicembre 2023 dal titolo “Logos ed Eros nell’era dell’IA” – Per iscriversi ad #OpenAIF bit.ly/openaif

 

Le tecnologie, o in generale le innovazioni, hanno un certo impatto sui processi lavorativi, sia in termini di quantità sia di natura del lavoro. Di fatto, con le differenti rivoluzioni industriali susseguitesi, soprattutto nei cosiddetti paesi ricchi dell’Ocse, il numero medio di ore lavorative annuali per persona è costantemente calato e sono state necessarie nuove figure professionali e quindi sono stati disponibili nuovi posti di lavoro. Ma concentrarsi solo sulla “quantità” di ore e di posti di lavoro non basta. È certo che le macchine, o in generale le tecnologie, hanno sostituito negli anni gli uomini nello svolgimento di specifici compiti e attività, nel contempo,però, hanno dato vita a nuove domande di lavoro, professioni, competenze e conoscenze.

Secondo alcuni studiosi, come Daniel Susskind, dalla Prima rivoluzione industriale ad oggi la capacità di “complementarità” delle tecnologie ha “vinto” su quella di sostituzione. a questione si fa alquanto più complessa con l’avvio della quarta rivoluzione industriale e le cosiddette tecnologie 4.0, che hanno implementato le capacità di raccolta dati, computazionali, interazione e interconnessione. Inoltre, i cambiamenti tecnologici e organizzativi hanno sempre favorito differenti tipi di lavoratori, eliminando alcuni lavori, modificandoli, creando nuovi posti, richiedendo nuove competenze e conoscenze. Non sempre hanno avvantaggiato coloro che avrebbero potuto essere considerati qualificati o addirittura altamente qualificati.

Ad esempio, nel XIX secolo, con la prima rivoluzione industriale chi non aveva competenze tecniche specifiche fu in molti casi avvantaggiato sul mercato del lavoro rispetto a lavoratori più qualificati. Non a caso, si è parlato della figura dell’operaio massa che, sul mercato del lavoro, risultò maggiormente richiesto rispetto ai lavoratori altamente qualificati, quali artigiani o operai specializzati. In quel caso, le tecnologie sviluppatesi anziché favorire la competenza (ed essere skill-biased) favorirono la mancanza di competenza (o unskill biased). Anche i macchinari e le tecniche proprie della seconda rivoluzione industriale introdussero un processo di “dequalificazione”: l’operaio massa, meno qualificato degli artigiani e degli operai specializzati, poteva produrre articoli di qualità che, in passato, avrebbero richiesto lavoratori specializzati.

Questa dinamica ha continuato a manifestarsi con la terza e la quarta rivoluzione industriale. Di fatto, durante gli anni Ottanta del XX secolo, le tecnologie informatiche diedero vita a un processo, tutt’ora in atto, che favorì al tempo stesso i lavoratori altamente qualificati e quelli poco qualificati, mentre i lavoratori con competenze medie ne hanno beneficiato in maniera più limitata. Spesso si afferma che, soprattutto in Italia, “la classe media sta scomparendo”. Questa biforcazione sembra essere una caratteristica e una tendenza ben radicata nell’attuale mercato del lavoro. Quindi, anche se l’idea che le tecnologie sostituiranno gli esseri umani è “vecchia come il mondo”; oggi, in alcuni casi (soprattutto per le classi lavoratrici che potremmo approssimativamente definire come “intermedie”), sembra essere una realtà di fatto. Soprattutto quando si parla di tecnologie digitali, quali l’Intelligenza Artificiale, che – secondo alcune ipotesi – addirittura sostituiranno l’intelligenza umana.

Oggi infatti è opinione comune che le macchine sostituiranno completamente l’essere umano  o, se non in toto, nella maggior parte dei casi. Secondo quest’idea, con l’avvento dell’IA anche l’intelligenza umana è a rischio in quanto queste macchine sembrano essere intelligenti quanto gli umani, se non addirittura di più. Posta così, la questione sembra essere inattaccabile. Ma, a mio parere, la razionalità computazionale, caratteristica propria delle macchine più avanzate, come quelle che utilizzano l’IA di “seconda generazione”, èun qualcosa d’altro che può supportare le attività umane nel bene (la vita, l’eros) o nel male (la morte, il thanatos). La discussione più comune e diffusa sembra viziata da una trappola: si cade nel pensiero semplicistico che le macchine funzionino come gli esseri umani! Ma gli sono esseri umani ,  e pensano in modo umano; mentre le macchine funzionano come macchine e, grazie ad esse, gli uomini possono migliorare le proprie capacità, ampliarle, estenderle, obnubilarle, distruggerle. Attraverso le tecnologie, o le macchine, l’ umanità può migliorare la propria qualità di vita (garantendo, ad esempio, un miglioramento della medicina o, in generale, della capacità di curare le persone), ma anche di peggiorarla (migliorando l’efficienza delle armi e della capacità bellica).

La questione si fa tanto complessa quanto delicata. Si parla di eliminazione del lavoro, di sostituzione dell’intelligenza umana, di delegare tutto alle macchine.  Ma, l’attuale trasformazione va colta con una maggiore consapevolezza, mai richiesta finora, e con nuove conoscenze che devono necessariamente e radicalmente ripensare i modelli di vita, sociali e produttivi. Questo non significa solo puntare al pensiero critico e all’immaginazione, ma comprendere che le tecnologie sono tecnologie e noi esseri umani dobbiamo capire che il loro uso determina effetti sull’uomo. La comprensione dell’uso delle macchine, implica la progettazione di ambienti in cui collocare le macchine o da creare attraverso di esse, è un compito non delegabile alle macchine, che sono macchine e non persone. Perciò con l’IA si possono svolgere compiti che in passato avrebbero richiesto l’intelligenza umana  ma che vengono portati  a termine in modo radicalmente differente rispetto all’ umano. Modi che sono o comunque saranno sicuramente migliori rispetto alle modalità con cui le può svolgere una persona.  Questo non  significa che l’uomo perde o perderà la sua centralità, anzi , la sua importanza sarà  sempre più essenziale, perché  sarà colui, colei, che deciderà il ruolo e l’uso delle macchine. Vita o morte? . Bisognerà costantemente saper rispondere alla domanda eros o thanatos?

Per poter assurgere a questo ruolo, però, gli  esseri umani devono puntare ad essere altamente qualificati, non solo a livello di competenze e nemmeno di mere conoscenze, bensì devono comprendere come garantire un ampliamento, un’estensione della propria sensibilità e della propria intellettualità grazie e attraverso l’uso consapevole delle tecnologie,  cheli continueranno a svilupparsi e migliorare per essere più  capaci degli uomini a svolgere attività e compiti di differenti tipi, alcuni dei quali oggi non li  conosciamo ancora. Bisogna, quindi, iniziare a pensare la questione del lavoro e del ruolo dell’umanità da un altro punto di vista. L’essere umano deve responsabilizzarsi e impegnarsi al fine di pensare a nuovi modelli sociali e produttivi, senza appiattirsi unidimensionalmente su criteri determinati solo dalla “quantità” e dai rendimenti aziendali.




Ugo Calvaruso

Practical philosopher, Innovation Manager, Training Manager, specializzato in progettazione formativa, apprendimento organizzativo, piattaforme digitali e sviluppo di processi di innovazione. Ha curato l’inserto “Techné” presso Il Quotidiano del Sud e, attualmente, collabora con la testata giornalistica Il Denaro.

E-mail: u-calvaruso@hotmail.com

 

 

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