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Il professor Keating non insegna qui. L’immagine deformata della scuola nel cinema italiano

Le stagioni più significative della nostra cinematografia, dal neorealismo alla commedia all’italiana, hanno spesso costituito un’epitome della società e, a volte, sono state persino profetiche nel vaticinio delle linee di tendenza e degli stili di comportamento. Tale capacità di rappresentazione non risulta però omogenea, poiché vi sono alcuni contesti in cui prevale la lectio facilior e lo stereotipo a scapito di un’analisi affidabile e approfondita.
Il sistema scolastico, ad esempio, emerge deformato dalla macchina da presa, come ho cercato di dimostrare durante l’incontro con la Comunità di Pratica AIF per la Scuola, riprendendo delle considerazioni che avevo iniziato a elaborare tempo addietro. [1]«Aule di celluloide. Lo scambio ineguale tra cinema e formazione», i parte, aif Learning News a. xii, 1 (2018); ii parte, aif Learning News a. xii, 2 (2018).
Superata l’iniziale diffidenza nei confronti della settima arte, alimentata dal paradigma culturale della Bullet Theory, che identificava i media come una mitragliatrice caricata per sparare pallottole-immagini al fine di indottrinare il pubblico e considerava i film alla stregua di un «ago ipodermico» con cui iniettare sostanze-visioni per indebolire le facoltà mentali delle masse, la riforma Gentile rompe con tali elucubrazioni e sposa la tesi di Louis Angé che «il cinema renderà facile il compito di apprendere secondo i principi della pedagogia razionale, per cui è necessario contemperare il massimo di rendimento intellettuale col minimo di fatica cerebrale» [2]Cfr. R. Fané, Diletto e giovamento. Le immagini e l’educazione, Novara 2006, pp. 215-9.. Da quel momento, le proiezioni luminose, annoverate tra gli strumenti didattici già agli inizi del XX secolo, apriranno la strada alla cinematografia educativa, utilizzata dal fascismo in chiave sia pedagogica che propagandistica: il cinema era oramai proiettato tra i banchi, sebbene l’impostazione storicista e idealista privilegiasse le discipline basate sul linguaggio a scapito di materie imperniate sulla dimensione percettiva [3]Cfr. E. Terrone, «I film sui banchi di scuola. Storia e filosofia del cinema», Segnocinema 223-224 (2020): 34-5..

Al di là dell’estetica idealistica, il percorso cinema-educazione presenta non poche insidie: seguendo le teorie del semiologo Roger Odin, «l’analisi delle occorrenze testuali, delle relazioni tra gli aspetti contestuali e i modi di produzione di senso, ha messo in luce come si debba riformulare il concetto di testo (e il suo ‹potere› comunicativo) all’interno di un preciso ambiente» [4]E. Mosconi, «Il cinema nella prassi educativa: una prospettiva pragmatica», in Cinema, pratiche formative, educazione, a cura di P. Malavasi, S. Polenghi e P. C. Rivoltella, Milano 2005, pp. … Continue reading.
Dalla mappatura delle pellicole focalizzate sulla scuola, raramente emerge tale sostrato teorico, predomina, viceversa, quello che ho definito lo «scambio ineguale» che si è instaurato tra questi due ambiti, con il sistema educativo che attinge copiosamente dalle cineteche per fini pedagogici, laddove le pellicole ci restituiscono spesso delle aule di apprendimento caricaturali e grottesche, che addirittura scadono, come a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, nel pecoreccio.
I titoli italiani quasi mai assurgono a case study sulla scuola, come sovente si verifica nella cinematografia internazionale. Manca, ad esempio, l’analisi documentaria de La classe-Entre les murs, l’esemplificazione della pedagogia di John Dewey in “Non uno di meno”, l’esperimento sociale di “L’onda” oppure le drammatiche reazioni a catena del recente “La sala professori”, così come non vi è traccia – per fortuna, a mio giudizio: ma questa è un’altra storia – dell’iperbolica empatia del professor Keating de “L’attimo fuggente”.
Il nostro cinema deraglia volentieri da una narrazione equanime, appiattendosi su una incongrua definizione della realtà. «Il film è poroso come un uovo e assorbe tutto ciò che proviene dal mondo circostante, ma lo restituisce – o, comunque, può farlo – altamente rielaborato sia in forza della sua particolare tecnica di significazione, sia grazie alla sua potenza narrativa che con quella tecnica cerca di attuarsi. […] Per quanto riguarda il mondo della scuola il cinema, in particolare quello italiano degli ultimi dieci anni, ripropone in maniera amplificata e, spesso, deformata, i pregiudizi che caratterizzano l’idea che della scuola circola a livello del senso comune» [5]G. Genovesi, «Presentazione», in Scienza dell’educazione e film: una lettura incrociata dell’immagine di scuola nel cinema italiano, 1995-2004, a cura di Id., Azzano San Paolo 2006, a p. 7..
Una disamina in diacronico delle opere di celluloide ci mostra il conflitto generazionale tra docenti e studenti, con l’autorità ex cathedra che pian piano va sbriciolandosi, a partire da “Terza liceo” di Luciano Emmer (1954), allo spartiacque di “Amarcord” (1973) di Federico Fellini, che mostra le crepe del rigido indottrinamento fascista, per arrivare alle improbabili “Classe Z” (2017) di Guido Chiesa e “Arrivano i prof” (2018) di Ivan Silvestrini, dove gli insegnanti sono oggetto di scherno da parte degli studenti, in un susseguirsi di gag scontate e ripetitive.
Il ruolo del maestro/professore è spesso centrale e raggiunge le migliori raffigurazioni in “Mio figlio professore” (1946) di Renato Castellani, in cui un bidello vede nella scuola l’occasione del riscatto sociale a vantaggio del figlio e, soprattutto, in “Il maestro” di Vigevano (1963) di Elio Petri, tratto dal romanzo di Mastronardi, con l’amara constatazione di come il corpo insegnante risulti tagliato fuori della modernizzazione e dal benessere economico che stava investendo il Paese, per giungere al momento della resa, che avviene ne “La scuola” (1995) di Daniele Luchetti, da due libri di Starnone, in cui lo sguardo ormai disincantato dell’insegnante osserva i colleghi alle prese con un diuturno lavoro burocratizzato, per esplodere nella contrapposizione ideologica e generazionale tra professori in “Il rosso e il blu” (2012) di Giuseppe Piccioni e in “Beata ignoranza” (2017) di Massimiliano Bruno. La serie “Un professore” (2021) sembra riconciliare docente e discenti, puntando su un rapporto paritario (sic) e sulla crescita personale, piuttosto che sulla performance scolastica.
Sorprende non poco constatare che «il cinema e la televisione degli anni Sessanta e Settanta, nonostante i cambiamenti radicali nella scuola (la scuola media unica dal 1962, il Sessantotto, i Decreti Delegati del 1973-‘74), sembrano dimenticare lo spazio critico e documentaristico, in nome di prodotti superficiali dove i toni grevi della commedia popolare rendono i docenti insulse macchiette» [6]D. Boero, «Lo specchio imperfetto: la scuola al cinema e in televisione», La ricerca 22 (2022): 29-34, a p. 30..
Poche ma considerevoli le eccezioni: “Diario di un maestro” (1973), sceneggiato – termine ormai desueto – di Vittorio De Seta, adattamento dell’autobiografia di Albino Bernardini, che affronta tematiche nuove come l’inclusione, la critica al nozionismo e la scuola come fonte rigeneratrice delle periferie. “Mery per sempre” (1989) di Marco Risi, dal libro di Grimaldi, si inserisce in tale filone e si sofferma su due questioni essenziali: l’identità di genere e l’apprendimento in un carcere minorile.
Un topos visitato allo sfinimento è l’esame di maturità, dalla narrazione stile radiocronaca di “Ecce bombo” (1978) di Nanni Moretti, alle stantie avventure estive – sulla falsariga di “Sapore di mare” – di “Notte prima degli esami” (2006) e “Notte prima degli esami – Oggi” (2007) di Fausto Brizzi.
A volte lo storytelling sulla scuola finisce per mescolarsi con l’indagine sulla condizione giovanile, con esiti pregevoli, a esempio in “Caterina va in città” (2003) di Paolo Virzì, sullo spazio di un’adolescente di paese che deve affrontare le insidie di una grande città oppure modesti, come in “Ragazzaccio” (2022) di Paolo Ruffini, un’occasione mancata per fare i conti con il lockdown e la didattica a distanza. Alle problematiche adolescenziali dedicano, inoltre, parecchio spazio le serie, da “I ragazzi della 3 C” (1987-1989) – antesignano del genere – a “I liceali” (2008-2011), che registra un raro episodio drammatico: il tentato suicidio di uno studente, in sede di scrutini.
Questa breve rassegna conferma che «il cinema come tutte le arti è letteralmente una finestra sul nostro ‹mondo›, uno sguardo e un ascolto degli altri su di noi, e di noi sugli altri, porta inscritte in sé le caratteristiche dell’‹occhio› del suo produttore, ma anche quelle dell’‹occhio› del suo spettatore e, in quanto forma di loisirs, partecipa attivamente ai processi di costruzione sociale condivisi dalla realtà-verità» [7]A. M. Franza, «Alla ricerca di immagini nel territorio della formazione», in Id. e P. Mottana, Dissolvenze. Le immagini della formazione, Bologna 1997, pp. 11-72, a p. 68..
Se il cinema, pertanto, svolge un ruolo nella conoscenza fattuale, proviamo a immaginare un liceo sui generis intitolato a Marilyn Monroe, un eden frequentato da allievi preparati e insegnanti motivati, che trascorrono la ricreazione giocando a flipper e alle slot machine, con appesa alle pareti la foto di Dino Zoff che solleva la coppa del mondo invece di quella istituzionale del presidente e dove il prof. di storia introduce la lezione sugli anni sessanta facendo ascoltare “Sapore di sale”.
Realtà? Finzione? Presagio? È ciò che ci prospetta “Bianca” (1984) di Moretti, quasi a volerci riconciliare con le nostre paure e le nostre discrasie nel leggere la realtà.

Giuseppe Caramma

Si occupa di storia contemporanea, storia dei sistemi educativi e storia del cinema; collabora ad alcune riviste scientifiche italiane

E-mail: giuseppe.caramma@unict.it

Riferimenti

Riferimenti
1 «Aule di celluloide. Lo scambio ineguale tra cinema e formazione», i parte, aif Learning News a. xii, 1 (2018); ii parte, aif Learning News a. xii, 2 (2018).
2 Cfr. R. Fané, Diletto e giovamento. Le immagini e l’educazione, Novara 2006, pp. 215-9.
3 Cfr. E. Terrone, «I film sui banchi di scuola. Storia e filosofia del cinema», Segnocinema 223-224 (2020): 34-5.
4 E. Mosconi, «Il cinema nella prassi educativa: una prospettiva pragmatica», in Cinema, pratiche formative, educazione, a cura di P. Malavasi, S. Polenghi e P. C. Rivoltella, Milano 2005, pp. 109-21, alle pp. 120-1.
5 G. Genovesi, «Presentazione», in Scienza dell’educazione e film: una lettura incrociata dell’immagine di scuola nel cinema italiano, 1995-2004, a cura di Id., Azzano San Paolo 2006, a p. 7.
6 D. Boero, «Lo specchio imperfetto: la scuola al cinema e in televisione», La ricerca 22 (2022): 29-34, a p. 30.
7 A. M. Franza, «Alla ricerca di immagini nel territorio della formazione», in Id. e P. Mottana, Dissolvenze. Le immagini della formazione, Bologna 1997, pp. 11-72, a p. 68.

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