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Emozioni epistemiche 3 – Illusione e speranza: dal gioco alla immaginazione creativa

 

Ogni emozione, semplice o complessa, suggerisce come rispondere a stimoli interni – desideri o timori, pensieri riguardanti il passato, presente e futuro, o a stimoli esterni  attesi o inaspettati, graditi o spiacevoli. Le emozioni appartengono a un sistema complesso di percezioni, sensazioni, pensieri, valori e azioni; si distinguono da altri stati interni in quanto manifestano ciò che accade dentro il soggetto, con segnali sonori o visibili:  urla, rossore, pallore, tremore, lacrime. 

Alcune emozioni attivano veloci e brevi reazioni automatiche, o lente e durature risposte. Per esempio, lo spavento segnala un pericolo che o si trasforma in sollievo, o attiva la paura con risposte di attacco, fuga o freezing (congelamento) Se la durata della risposta si protrae, diverse emozioni si trasformano in emozioni complesse, stati d’animo, sentimenti. Per esempio, la rabbia da emozione etica che stimola a difendersi da un’ingiustizia può, qualora l’ingiustizia persista, diventare rancore o risentimento.

Prima di entrare nel merito di due emozioni importanti come illusione e speranza, introduco le principali funzioni che le emozioni svolgono, a partire da quelle fondamentali di inviare informazioni riguardanti la rappresentazione di sé, degli altri e del mondo e di segnalare ciò che consente di raggiungere la felicità attraverso l’evoluzione personale e professionale. 

Ogni emozione ha la funzione di suggerire come rispondere in modo appropriato agli stimoli e quella sociale aiuta a proteggere le relazioni interpersonali da ripercussioni sull’immagine e sulla reputazione e a coltivare legami o appartenenze. Tre le varie funzioni, quella reattiva segnala la presenza di stimoli improvvisi (spavento, sorpresa, sgomento), e quella formativa invita a interrompere o a modificare comportamenti inappropriati (colpa, vergogna, rimpianto). 

Se la funzione proattiva aiuta a prepararsi psicologicamente e fisiologicamente a eventi futuri (ansia, preoccupazione, paura), quella adattiva informa di essere di fronte a qualcosa che non possiamo modificare ma dobbiamo accettare e utilizzare al meglio. La funzione etica invece risveglia virtù e valori, audacia e compassione e difende da soprusi e abusi;  infine quella spirituale rende consapevoli della connessione con qualcosa di più grande di noi stessi, di trascendente, che fa percepire il legame con la saggezza dell’universo e con le leggi della natura. 

Talvolta le emozioni mancano di consapevolezza, e per comprenderle dobbiamo imparare a coltivare la meta attenzione e la meta cognizione. Le scienze cognitive hanno infatti dimostrato che le emozioni svolgono un ruolo centrale nel ragionamento, nella creazione di nuovi concetti e idee, nei processi decisionali, nelle valutazioni di situazioni complesse, nei giudizi di valore, nell’orientarsi e sciogliere ambiguità, confusione o legami.

Interviene così la funzione epistemica che invita a esplorare, conoscere, intraprendere qualcosa di nuovo, a predisporre programmi alternativi – insoddisfazione, noia, fiducia, delusione, curiosità, dubbio, rabbia, speranza. Le emozioni epistemiche alimentano il processo cognitivo, e fungono da antidoto alla passività, all’inerzia, alla stagnazione e all’inganno.

Vale la pena ora soffermarsi sulle due emozioni epistemiche illusione/delusione e speranza.

 

Illusione. 

Immagino che i lettori abbiano familiarità con le illusioni ottiche e percettive che ingannano il cervello, come la figura di Boring della giovane e della vecchia, le figure impossibili di Escher, il triangolo di Kanizsa, l’anamorfosi in pittura o il bastone nell’acqua che appare spezzato. Sono inganni della percezione, del cervello e della mente. Lo sappiamo, l’abbiamo studiato. A quante illusioni della mente invece cediamo, prima che la delusione ci risvegli? 

L’etimologia di illusione ci invia a in-lusio, in rafforzativo e ludere stare nel gioco, ci invita a partecipare a un gioco, dimenticando che è un gioco. De-lusione vuol dire uscire dal gioco per non farci più imbrogliare dall’auto o etero inganno, uscita tutt’altro che indolore in quanto risveglia la consapevolezza di essersi fatti coinvolgere in qualcosa lontano dalla mera realtà.

L’illusione esiste quando coltiviamo l’inganno che dispensa dall’esame della realtà, o nel quale vive chi pensa che basti il desiderio o la volontà per realizzare i propri sogni. Solo la delusione costringe a fare i conti con la qualità delle attese e con il livello di realizzabilità dei progetti, facendo naufragare sogni e speranze, destabilizzando l’equilibrio fallace. La delusione educa a una gestione razionale e non esclusivamente emozionale delle aspettative e aiuta a capire che gli ideali non sottoposti all’esame del reale costituiscono l’humus sul quale gli inganni crescono e le fantasmagorie si moltiplicano. 

L’illusione è un gioco della mente per autoingannarsi e credere che ciò che si desidera sia realizzabile. Talvolta l’illusione è soggettiva, di chi non ha dimestichezza con l’esame di fattibilità o dei rischi ma preferisce ascoltare le sirene dell’io desiderante o seguire le lucciole delle proprie proiezioni. Se la paura proietta un futuro di rischio e pericolo l’illusione mostra un futuro roseo in cui andrà tutto bene, anche se non ci sono adeguate premesse e condizioni. Talvolta l’illusione è un ballo di coppia o di gruppo in cui due o più soggetti si rinforzano reciprocamente in un processo di negazione della realtà che agli altri risulta invece evidente.

L’illusione come autoinganno rende passivi, ingenui e stupidi, porta a ignorare o a trascurare azioni esplorative, riparative o risolutive che potrebbero apportare dei benefici. L’ingenuità fa credere nel potere del pensiero magico, dell’affidarsi alla benevolenza degli astri, del fato, degli eventi, rimanendo in balia di un futuro ipotizzato positivo e corrispondente ai propri desideri invece di riconoscere che il mondo ci mette di fronte alle sfide VUCA, acronimo di Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity. 

 

Speranza

La speranza è più realistica dell’illusione: chi spera immagina un esito positivo ma teme che possa non realizzarsi perché le variabili in gioco non dipendono solo dal soggetto. Chi spera sa che VUCA è la realtà con la quale fare i conti e che imprevisti, malattie e perdite accadono.

La speranza ha un animo rivoluzionario, spinge a lottare, a perseverare nonostante le difficoltà, a posticipare l’esito nell’attesa di condizioni più favorevoli, crede nell’utopia, spinge a trarre il meglio possibile dalla vita nella consapevolezza dei propri limiti e mezzi. 

L’etimologia di speranza rimanda a elpis, dal verbo elpizo che significa opinare, ritenere probabile, supporre. La speranza evoca e risveglia il piacere di vivere per il semplice fatto di esistere, virtù necessaria per accogliere la sofferenza del presente e intravedere una via d’uscita dalla disperazione. La speranza è una delle virtù teologali, insieme a fede (fiducia) e carità, in cui ci si affida alle benevolenza degli dei affinché ci proteggano da eccessivi affanni. La speranza è la virtù dell’accettazione della presenza del dolore nella vita di ciascuno, lenita dal desiderio di un futuro diverso, magari migliore, confortato dalla legge della natura che insegna che tutto passa, Panta rei, tutto scorre, niente è eterno, né la gioia, né il dolore. 

Nella speranza non c’è accettazione passiva, anzi la disperazione risveglia l’immaginazione creativa, chiamando a raccolta altre emozioni epistemiche: la fiducia (fede) nella possibilità di trovare energie per andare oltre il presente e la curiosità che si apre al nuovo, alle sorprese che il futuro sta preparando. La speranza include la disperazione e immagina il futuro che non conosce e proprio per questo lo ipotizza probabile e lo suppone senza dare spazio alla certezza ingannevole né tempo all’illusione fallace.

Chi spera sa che il cambiamento è possibile, naturale, forza vivificante che c’è sempre stato e sempre ci sarà. Chi spera allontana il cupo pessimismo e toglie la benda alla dea fortuna per volgere insieme lo sguardo verso un futuro di possibilità con azioni che seguono le riflessioni della ragione previdente accompagnata dall’audacia di tentare l’intentato e dal coraggio che spinge all’azione, come ricorda l’etimologia di cor-aggio, azione del cuore. 

Chi spera strappa il futuro al caso e lo riprende nelle proprie mani concependosi con consapevole modestia un umile costruttore del proprio domani, progettando scenari di possibilità, esercitando l’inalienabile libertà di scegliere la propria strada. La vita di ciascuno infatti non è altro che un progetto da portare a termine, ognuno seguendo il proprio cammino di esperienze irto di difficoltà senza fermarsi a contare le prove da superare e a rimuginare sui dolori patiti. Quando c’è speranza le fatiche pesano meno, il traguardo appare e diventa raggiungibile. 

La speranza è una letizia incostante, nata dalla rappresentazione di qualcosa del futuro il cui esito è ritenuto probabile e auspicabile, mai certo; è attesa perseverante, è fiducia nelle proprie e altrui risorse nell’esercizio della volontà dell’ottimismo come scelta ragionevole anche quando mancherebbero le premesse. La speranza è misurata, calma, paziente, non ha fretta, aspetta il tempo dell’opportunità, rimane in sintonia coi tempi lunghi della storia conoscendo le leggi della natura e i suoi segreti. 

La speranza e i suoi correlati di pazienza, perseveranza, determinazione esistenziale portano a riconoscere che sofferenza, dolore e morte fanno parte della vita e permettono al singolo di esprimersi progettando il proprio destino, esaltando la libertà di architettare il futuro che si vuole abitare, di disegnare il profilo di chi si vuole diventare, di esplorare l’ignoto geografico e psichico pronti a tentare l’intentato. 






 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Consuelo C. Casula

Consuelo C. Casula, psicologa, psicoterapeuta e formatrice, ex presidente della European
Society of Hypnosis, è autrice di alcuni libri editi da Franco Angeli. Nel 2022 la International Society of hypnosis le ha assegnato il Piere Janet Award per l’eccellenza clinica del suo lavoro.

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