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Imparare a vivere il conflitto. Le relazioni fra gli insegnanti, nel mondo della scuola.

 

Al complesso tema della gestione delle relazioni conflittuali fra docenti ho destinato il mio intervento del 22 febbraio 2023, nella Comunità di Pratica del Gruppo Scuola di AIF.

La scelta di dedicare tempo a questo argomento è derivata dalle riflessioni svolte col gruppo nel corso del precedente biennio. In più occasioni, era emerso che per l’efficienza del sistema scolastico sono assai incisive le competenze relazionali degli insegnanti e, fra esse, rientrano anche le competenze conflittuali – sconosciute ai più.

A maestri e professori sono richieste già innumerevoli capacità, ma quella che garantirebbe loro il miglior clima di lavoro è del tutto trascurata.

Ad oggi, saper gestire costruttivamente le situazioni di divergenza interne alla scuola è un’abilità che appartiene al bagaglio culturale di pochi e illuminati docenti, che hanno provveduto in autonomia a coltivarla, per una loro personale sensibilità.

Sul fronte dei contrasti fra colleghi si spendono quantità ingenti di energie, ma vige, di fatto, la regola dell’improvvisazione.

Per la nostra esperienza, invece, essere capaci di “stare nel conflitto” è utile per ottimizzare il potenziale delle risorse umane e, di conseguenza, migliorare l’efficacia educativa del sistema.

Gestire in modo corretto le diatribe interne è un fattore necessario e ormai indispensabile, affinché la scuola riesca a farsi percepire dall’esterno (in primis dai genitori) come una realtà coordinata e ben strutturata.

Del resto, è fuor di dubbio che ad un’organizzazione coesa ed intelligente – nel senso etimologico dell’intelligere, cioè del comprendere le posizioni divergenti (cum-prehendo = prendo insieme) – sono socialmente riconosciute tanto l’autorevolezza, quanto la credibilità.

Un approccio pratico al problema

Ci siamo posti una domanda semplice: quali interventi concreti potrebbero consentire alla scuola di trasformarsi nel luogo in cui i contrasti diventano sistematicamente generatori d’innovazione?

Esistono strumenti di straordinaria utilità per la vita quotidiana di ognuno, tanto nella sfera personale quanto nell’ambito lavorativo:

  • la capacità di individuare tempestivamente le situazioni di conflitto,
  • la conoscenza degli stili negoziali,
  • le tecniche di comunicazione efficace,

sono competenze che consentono di imparare ad intervenire per tempo in una situazione di disaccordo e farsi facilitatori del dialogo.

L’unico inconveniente che presentano è che, ad oggi, sono assai poco conosciute. Perché non farne, allora, una vera e propria materia di studio?

Formare gli insegnanti di domani alla padronanza di tali strumenti potrebbe essere il primo passo.

L’adozione di un registro cooperativo e il corrispondente abbandono dello stile competitivo da parte dei loro precettori, aprirebbe lo sguardo dei giovani alla vista e alla comprensione di logiche alternative, rispetto a quelle individualistiche che caratterizzano il nostro tempo.

Il beneficio per la collettività sarebbe evidente.

Capire le dinamiche del conflitto

Di solito, chi non ha seguito una formazione specifica sul tema, ignora l’enorme potenziale generativo di valore che è insito in ogni conflitto: la sua buona gestione lo rende, infatti, trasformativo.

La società si divide grossomodo fra coloro che evitano il conflitto, lo temono o lo vivono con disagio e coloro che lo cercano, a volte addirittura lo aizzano, come se fosse “un ring” su cui misurare la propria abilità dialettica, o determinare gli equilibri di potere nella relazione.

Tutti sappiamo quanto è raro, invece, incontrare persone capaci di stare nelle situazioni conflittuali, senza lasciarsi travolgere dalle emozioni o “contagiare” da quelle altrui.

Non si tratta di essere dei maestri zen, ma di avere dalla propria:

  1. la consapevolezza del processo in atto e la capacità di collocare il momento all’interno delle fasi di escalation del conflitto (dalla fisiologica divergenza, “fase zero”, si sale per gradi fino all’ultimo stadio, passando per il cosiddetto “punto di non ritorno”);
  2. la capacità, introspettiva, di riconoscere le proprie emozioni e i propri bisogni e quella, empatica, di distinguere quelli nascosti dietro alle posizioni espresse dall’altro, che si scontrano con le nostre;
  3. la disponibilità ad uscire dalla zona di confort, per avventurarci con l’altro nel territorio, appassionante, della ricerca di soluzioni creative ed innovative.

Quando abbiamo un interlocutore capace di litigare in modo costruttivo, diventa (quasi) semplice metterci nella sua stessa disposizione d’animo, anche se non abbiamo ancora maturato delle specifiche abilità al riguardo.

Ecco perché è utile sensibilizzare all’importanza di queste competenze trasversali: le capacità di un singolo vanno a beneficio di tutti coloro con cui si rapporta ed alimentano un virtuoso effetto emulativo.

Da dove iniziare, quindi?

La prima soglia da varcare è la paura del conflitto: bisogna conoscerne le dinamiche tipiche, per superare la resistenza “a priori” e così imparare a viverlo con la giusta centratura, anziché evitarlo o subirlo.

Sedici anni fa, per me fu una vera rivoluzione copernicana apprendere che, coi giusti e sapienti accorgimenti, un dissidio può trasformarsi in una preziosa occasione di comunicazione autentica, che apre al cambiamento.
Da lì a farne esperienza diretta, il passo fu abbastanza breve.

La letteratura scientifica in materia è ricca ed investe le teorie del conflitto psicosociale e la psicologia della comunicazione; non occorre esserne degli esperti conoscitori, ma per diventare degli appassionati apprendisti della materia è di certo utile qualche lettura mirata, seguita, poi, da molta pratica sul campo.

In questa sede è sufficiente cominciare ad imparare la distinzione fra ciò che può definirsi “conflitto” e ciò che, invece, va sotto il nome di “violenza”.

Una situazione conflittuale è quella che si genera quando due autorità si definiscono entrambe competenti, o entrambe incompetenti, a provvedere rispetto ad un determinato oggetto.

Ogni contrasto, divergenza, opposizione che appartenga alla sfera fisiologica della convivenza sociale, rientra nella categoria del “conflitto” se non produce conseguenze dannose irreversibili.

Al contrario, quando le intenzioni o le conseguenze dei contrasti scivolano nell’alveo di un danno permanente, si ricade nell’ambito della violenza.

Da un conflitto è sempre potenzialmente possibile far discendere un accordo, che porta innovazione nella relazione fra le parti.

La qualità dell’esito dello scontro dipende, in realtà, dalle capacità degli attori in campo: possono limitarsi alla canonica logica binaria del prevalere-soccombere, oppure entrare nell’ottica di generare soluzioni win-win, che conciliano le diverse esigenze.

Ciò che cambia il prodotto del processo è “come” lo stesso viene gestito.

La violenza invece è, per sua stessa definizione, del tutto incompatibile con un esito produttivo di valore. Ogni intervento, per quanto qualificato possa essere, non renderà possibile eliminare il danno voluto e cagionato da una parte.

Nel mondo della scuola proliferano le situazioni conflittuali; gli episodi di genere violento – tra cui potremmo annoverare, ad esempio, i casi di insegnanti vittime di mobbing da parte dei colleghi – costituiscono, per fortuna, l’eccezione.

Il margine d’intervento per ottenere un sensibile miglioramento, quindi, è ampio.

Quali sono le dispute più frequenti nel campo scolastico?

Come formatori (e, nel caso di alcuni di noi, anche come insegnanti di scuola) ci siamo interrogati sui motori profondi delle dispute che oggi animano i docenti.

Sondando ciascuno la propria esperienza professionale, abbiamo individuato una serie di criticità, che distinguiamo qui in due aree principali.

SFERA RELAZIONALE

  • Il bisogno di auto-affermazione dei singoli, intesa come volontà di prevalere sugli altri e di sentire riconosciuta la propria competenza.
  • L’assunzione di un atteggiamento antagonistico fra colleghi.
  • L’approccio individualista, che genera divisione e solitudine anche all’interno di un gruppo.
  • La polarizzazione degli interessi.

SFERA METODOLOGICA

  • L’assenza di un linguaggio comune e condiviso fra tutti.
  • La mancanza di punti di raccordo fra metodologie didattiche discordanti.
  • Il conformismo dovuto all’assenza di contenuti innovativi, oppure al timore del giudizio altrui.
  • L’anacronismo e l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione rispetto alle reali esigenze del personale scolastico.
  • La mancanza di coordinamento effettivo dei docenti, fra loro.

Ci siamo poi soffermati sull’utilità che avrebbero, nel settore scolastico, due fattori che tipicamente migliorano il clima relazionale negli ambienti di lavoro.

Il primo: avere in organico almeno un soggetto – meglio se in posizione apicale, o super partes – che sia capace di svolgere un ruolo di facilitatore nella comunicazione.

Il secondo: la capacità del singolo di assumersi la responsabilità della qualità della propria comunicazione, avendo consapevolezza dei propri filtri soggettivi e dello stile negoziale che inconsciamente adotta.

La presenza di questi due elementi all’interno di un’organizzazione mette le persone in condizione di porsi in modo cooperativo rispetto ai malumori e ai disaccordi, tipici delle fasi iniziali dell’escalation: le dispone a dare il proprio apporto in modo costruttivo, malgrado i toni accesi.

Le competenze conflittuali fermano l’innalzamento della soglia della lite prima che si arrivi al cosiddetto “punto di non ritorno”, cioè quello in cui le relazioni fra i membri della comunità resterebbero segnate in modo negativo dai contrasti vissuti.

Servono quindi a creare il substrato necessario per trovare soluzioni creative, a problemi di ogni natura.

Idee che possono fare la differenza

In conclusione, ci siamo proposti di rivolgere lo sguardo d’indagine su possibili soluzioni operative che potrebbero rivelarsi molto utili per migliorare, in prospettiva, la qualità delle relazioni nella scuola.

Abbiamo quindi enucleato alcune idee, con l’intenzione di coltivarle nel prossimo futuro.

  • Accompagnare i docenti e i direttori scolastici nella crescita delle competenze e delle abilità cooperative da adottare nelle situazioni conflittuali, nell’ambito della formazione professionale continua
  • Elaborare un glossario comune, da pubblicare e proporre in adozione alle scuole per superare i cosiddetti “conflitti di dati”.
  • Promuovere l’attivazione di Sportelli di Mediazione Scolastica interni, utili per facilitare il coordinamento fra i docenti e risolvere i conflitti sulle metodologie da adottare, superando la logica dell’individualismo antagonistico grazie alla presenza di un terzo competente, attento ai bisogni di ascolto di ogni parte e proattivo.
  • Formare i pedagogisti alle tecniche di conciliazione dei conflitti, così da poterli adibire al servizio di mediazione.
  • Sensibilizzare affinché lo studio della gestione del conflitto sia inserito nei percorsi che precedono l’abilitazione all’insegnamento.

Il dialogo è aperto e continua: chiunque avesse domande, suggerimenti o proposte operative sul tema è invitato a contattarmi personalmente al mio indirizzo di posta elettronica.

Suggerimenti bibliografici
A chi volesse approfondire l’argomento di questo articolo, consiglio di partire dalla pietra miliare, “L’arte del negoziato” di Fisher, Ury e Patton, affiancando questa lettura col simpatico “Quaderno di esercizi per la gestione dei conflitti” di Patrice Ras, edito da Vallardi.

 

Rossella Di Costanzo

Avvocato esperto in conciliazione dei conflitti, tutela dei minori, diritto del lavoro e diritto di famiglia. Mediatore civile e commerciale presso l’Organismo di Conciliazione dell’Ordine degli Avvocati di Monza, è anche formatrice e giornalista pubblicista.

E-mail: avvdicostanzo@yahoo.it

 

 

 

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