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Leadership gentile: Intervista a Maura Latini, Presidente COOP Italia – seconda parte

Perché questa intervista? 

Qualche mese fa ho potuto animare un evento di formazione sul tema della Leadership Gentile, cui avevamo invitato a partecipare e portare la sua testimonianza Maura Latini, amministratrice delegata COOP Italia.
Avevo pensato di invitarla pur non conoscendola personalmente, perché la sua biografia (per quanto letto in rete) mi sembrava significativa di una leader gentile… A sua insaputa.
Nel senso che a volte le parole possono essere delle etichette dietro le quali c’è altro. Invece in questo caso ho conosciuto una persona che incarna un concetto, senza usarlo come stendardo.

Dopo la sua testimonianza, che potete leggere qui, è nata l’idea di approfondire l’esperienza di leadership gentile di Maura Latini, attraverso un’intervista che potesse essere un esempio concreto di messa in pratica di questo concetto, a volte frainteso.

 

Parte Seconda

PV – Credo sia interessante approfondire il rapporto tra la persona, le sue idee, le sue sensibilità, interessi e valori e quelli dell’organizzazione. Mi sembra che il tuo racconto confermi che è importante trovare una sintonia tra valori della persona e dell’organizzazione, per crescere entrambi.

ML – Io mi sono potuta esprimere e penso che solo in COOP mi sono potute arrivare quelle opportunità di esprimermi sui contenuti come volevo io, perché è una cooperativa, perché lavora per migliorare la qualità della vita delle persone, e non ha come finalità solo l’utile, che è indispensabile perché se non hai un’impresa organizzativamente efficiente chiudi, però non è l’unico obiettivo.

 

PV – Cosa cerchi di trasmettere alle persone che collaborano con te?

ML – Quello che credo di aver imparato. Forse qualcosa di mio c’era già, soprattutto nella prima grande sfida che ho affrontato in un ruolo di responsabilità pesante: mi fu dato l’incarico di aprire come direttrice un ipermercato. Il primo che ho aperto, poi ne sono seguiti altri, in un contesto di grande delega, quindi avendo tutte le responsabilità. 

In Italia all’epoca non ce n’era quasi nessuno di ipermercati.

Ebbi l’opportunità di essere mandata in Belgio, in una società di distribuzione che gestiva degli ipermercati, per fare 6 mesi di stage in affiancamento all’interno di un iper,  ed è stata una base utile per poi aprire in autonomia un iper in Toscana.

Mi sono ritrovata ad occuparmi dell’apertura di un iper come direttore in totale autonomia e la prima cosa che ho imparato, anche connaturata con il mio modo di lavorare, è che serve collaborazione.

Bisogna lavorare nella maniera più coesa possibile e coerente, perché tu hai le deleghe, devi dare l’indirizzo ma hai bisogno di un gruppo di persone, di responsabili che abbiano competenze specifiche, che siano insieme a te disponibili a cogliere la sfida e che possano lavorare insieme per un tempo dato, per mettere a punto una macchina che non esisteva e che nessuno di noi aveva mai gestito prima.

Quindi il gioco di squadra, la collaborazione, il confronto, condividere gli obiettivi comuni, controllare i risultati raggiunti e migliorarli, è stato un bagno di realtà che mi ha fatto vedere che questa roba funziona. Questo modo di lavorare, che per me è stato indispensabile in quella fase di lancio, non solo della mia carriera ma anche di quel modello nuovo dell’ipermercato, mi ha dato un po’ l’imprinting rispetto al modo di lavorare anche nel periodo successivo, quando mi sono occupata di organizzazioni consolidate, di mestieri diversi da quello di direttore di ipermercato. 

Nella rete vendita ho lavorato, da cassiera a direttore di iper, poco meno di un ventennio ma quando poi mi sono occupata di altro, il modo di lavorare, il gioco di squadra,  il lavoro collettivo, per me tutto questo è rimasto fondamentale, determinante. Questo modo di lavorare aggiunge a quello che sai, vuoi, pensi, anche il pensiero degli altri, e se tu dai apertura, anche gli altri ti danno apertura e quindi diventa davvero un modo di lavorare che aggiunge valore e attiva l’intelligenza collettiva, per risolvere problemi e anche per rilanciare sull’innovazione, sulle novità che devi inserire.

Certo per fare un gioco di squadra bisogna sia chiaro che ognuno abbia ruoli ed autonomie. Ma deve esserci anche un modello organizzativo e delle regole del gioco che aiutano a prendere le decisioni. 

Se si riesce a tenere la barra a dritta: lavoriamo insieme, ci confrontiamo, siamo aperti e franchi e dopo c’è chi decide perché ha la responsabilità per decidere. Non ho mai trovato difficoltà a far funzionare modelli di questa natura.  Ora non voglio metterla giù troppo semplice però …

 

PV – E’ interessante che quel che hai detto, cioè i 3 punti chiave che stanno dentro quel che hai detto, ovvero: obiettivi condivisi, ruoli chiari e regole definite, quindi anche regole nel senso di scambiarsi informazioni in modo franco. Questi 3 punti sono le regole base perché un gruppo di lavoro funzioni bene.

Però tu non l’hai letto sul manuale, racconti che l’hai sperimentato e questo è interessante.

ML – Per onestà diciamo anche che, tornando alla mia insufficiente preparazione accademica, quando ho cominciato ad avere sufficiente autonomia per fare, ho avuto anche sufficiente autonomia per guardare me stessa e le mie lacune. Ho la maturità artistica, che rifarei, perché per me è stato un aprire la mente, mi ha permesso di guardare quello che volevo, però avevo carenze in altri ambiti. Quindi tra gli aggiornamenti professionali che l’azienda metteva a disposizione, io mi sono guardata e ho detto: devo fare un corso su questo, devo andare a guardare quest’altro. In quegli anni ho cominciato a cercare di preparami come potevo, guardavo i corsi che c’erano in giro, alla Bocconi per esempio, per completare le mie lacune professionali. Lo faccio ancora anche per la mia curiosità estrema, per il mio interesse su tutto, poi però scelgo perché altrimenti non ce la faccio, però all’epoca credo sia stato importante.

Lo raccomando ancora, e mi è successo recentemente, quando c’è una promozione ad un ruolo importante di un collega, con cui parlo, tra le cose che dico sempre, gli dico anche: sii formatore di te stesso. Ci sarà la direzione del personale che ti proporrà delle cose, ma tu che ti conosci, proponi a te stesso, perché tu sai cosa vuoi andare a vedere per migliorare, risolvere, comprendere: fallo. 

Perché la proattività deve stare in chi viene promosso, nella persona che vuole andare avanti.

 

PV – A volte si confonde la gentilezza con la debolezza, che ne pensi?

ML – Penso che purtroppo, questa cosa sta crescendo. C’è un mondo che vede nell’uomo forte o nella donna forte la soluzione. Un po’ lo vedo, in generale, lo ascolto. L’uomo forte, lo chiamo uomo perché normalmente è uomo ma ci sono anche donne così, dà un’immagine di sé di persona che si assume le responsabilità, capace, che decide, e questo decisionismo un pochino piace. Questo è un dato di fatto, nella società c’è. 

La gentilezza spesso viene confusa per debolezza, come primo impatto, poi naturalmente va un po’ misurata nel tempo, l’apparenza è questa, ma se si tratta di un percorso poi se uno vuol vedere vede. Ma l’uomo forte piace. 

Le giovani generazioni sono diverse, siamo più noi boomers che abbiamo questo retaggio di finto efficientismo, finto decisionismo, che viene un po’ da un’economia di mercato novecentesca. Invece le giovani generazioni hanno meno tensione per il denaro, per questi modelli più aggressivi, e nel mondo del lavoro sono più alla ricerca di una rappresentazione di cosa il proprio intervento in quell’impresa può produrre, per se stessi (non solo denaro ma anche altro), per il mondo nel quale si lavora, che tipo di qualità relazionale trova e che effetti ha per la società. 

Credo ci sia quasi uno snodo e questi giovani di adesso sono quasi, secondo me, migliori, per certi aspetti, e potrebbero generare un cambiamento.

Non è facile adesso trovare e tenere collaboratori e per farlo devi cercare di dare risposte ai loro desiderata, che non sono necessariamente quelli che venivano richiesti 5/10/15 anni fa.

 

PV – Quindi questa quasi equivalenza tra gentilezza e debolezza è più vera per chi ha 50/60 anni che non per chi ne ha 20/30?

ML – Secondo me, sì. Lo sto vedendo anche in questo periodo. Abbiamo fatto un numero importante di inserimenti di giovani, perché il ricambio generazionale è importante. Abbiamo attivato dei progetti nuovi, significativi, per i quali avevamo la necessità di avere dei punti di vista diversi e sto vedendo degli spaccati umani molto diversi, secondo me positivi.

PV – Insomma c’è speranza?

ML Dal basso sì, dall’alto non lo so… 

Le potenzialità dei giovani, secondo me ci sono, ma il modello nel quale viviamo, questa cappa organizzativa, non sto parlando di coop ma del modello economico, sto parlando dell’Italia, delle istituzioni, modelli prevalentemente vecchi, gerarchici, piramidali.

 

PV – Eppure, abbiamo una donna al comando 

ML Abbiamo una donna al comando ma di per sé avere una donna al comando non è sufficiente. Sono stata molto contenta che finalmente anche nel nostro paese si sia vista una donna in un ruolo del genere, però non è sufficiente questo perché poi c’è l’agito. 

Ancora è troppo presto per giudicare l’operato della premier, il fatto che si sia volutamente fatta chiamare “Il” Presidente a me ha lasciato grande amarezza, perché la lingua italiana permetteva di chiamarsi “La” Presidente, e questo sarebbe stato un segnale importante per le bambine, mi è dispiaciuto molto.

 

PV- Come tutti avrai incontrato situazioni difficili, ci sono degli “ingredienti” che hai utilizzato per uscirne? 

ML – Situazioni difficili, sì, tante. Perché, quando si lavora nei negozi, ed è l’esperienza più lunga e complessa che ho fatto, situazioni difficili, imprevisti e necessità di decidere in tempi brevissimi ce ne sono in continuazione e una delle caratteristiche principali di chi fa quel mestiere è il Problem-Solving. 

Devi essere skillato per quella macchina, farla funzionare senza rischi e senza danni per nessuno, prima di tutto per le persone, poi per le strutture ed infine per la merce. Le priorità sono chiare. Gli imprevisti sono tanti, potenzialmente anche gravi e da risolvere velocemente. Come si affrontano? 

Si affrontano secondo me con il gioco di squadra, ascoltando tutti coloro che possono portare un contributo alla comprensione, in tempo immediato, del problema; seguire le regole che ci sono, le normative e poi decidere, assumersi la responsabilità. 

Ascoltare tutti, avere chiaro quali sono le norme, quindi la preparazione per poter intervenire e poi decidere, senza titubanza, e la decisione che assumi condividerla con il gruppo che ti ha aiutato a costruirla e prenderla, comunicarla e lavorare come una squadra per risolvere il problema. 

Io lavoro così, magari non aiuta a risolvere il problema ma aiuta ad avere quella forza collettiva che permette poi di affrontarlo, gestirlo e trasferire l’informazione sulla decisione che hai preso nel modo migliore, che non è detto sia la migliore in assoluto ma è la decisione che in quel momento era possibile prendere.

Altro aspetto di situazioni difficili che capita credo in qualunque impresa è quello delle risorse umane. 

Difficoltà, negatività di un collaboratore, situazioni di crisi, anche queste sono all’ordine del giorno, di varia natura, che ora non sto ad elencare, però una delle situazioni più difficili è quella della relazione con un collaboratore che ha dei problemi gravi, strutturali, difficili che possono portare anche a conseguenze rilevanti. Ecco queste sono le cose più difficili da affrontare che però un manager deve affrontare e in quei casi io cerco di avere sempre comportamenti equi. 

L’equità per me sta alla base: le regole, le norme, il rispetto delle stesse, la valutazione in base ai comportamenti e l’equità nella scelta. 

L’imparzialità è fondamentale, perché questo ti permette di fare delle scelte che possono anche non essere condivise, perché spesso non sono condivise, ma se sono eque, se sono frutto di una analisi approfondita e coerenti con quello che tu nel tuo percorso hai fatto in situazioni analoghe,nsomma devi essere equa, nel tempo, per il tuo agire. 

Le parzialità sono devastanti per la credibilità di un responsabile, quindi: zero parzialità ed equità. Sono ricette semplici. La credibilità di un manager si basa in buona parte sulla correttezza dei suoi comportamenti.

 

PV- Hai detto “Compito di chi gestisce è quello di far emergere e valorizzare i contenuti di tutti, anche i meno evidenti, è un po’ faticoso, ma aggiunge tanto valore e trasferisce alle persone un sentimento di gratitudine, riconoscenza ed umiltà.”

 A questo punto mi incuriosisce il ruolo che giocano se, secondo te, lo giocano, emozioni e sentimenti sul lavoro. Quando dici “trasferisce alle persone un sentimento di…”, implicitamente mi fai pensare che siano importanti i sentimenti che le persone provano, mentre qualcuno dice proprio che emozioni e sentimenti sul lavoro non bisogna considerarli. 

ML – Penso che le persone, indipendentemente dal ruolo in cui operano possano vivere meglio nel luogo di lavoro nella misura in cui riescono in qualche modo ad esprimere sé stessi, e se vivono meglio riescono anche a restituire quella positività e proattività al mondo del lavoro che altrimenti non possono dare, perché si difendono. 

A volte ci sono persone indifendibili, comunque bisogna sforzarsi di tirare fuori quello che c’è, il possibile. 

Quindi, aiutare le persone ad esprimersi è un modo per provare a farle diventare partecipi di questo mondo in cui si trovano. Perché lavorare è necessario ma forse oltre ad essere necessario potrebbe essere un po’ più soddisfacente. Poi è chiaro che dipende anche dai ruoli che uno svolge, ma non è neanche vero perché, se la persona l’hai selezionata adeguatamente, in qualsiasi ruolo si trovi, anche lì puoi cercare di tirar fuori quella partecipazione che non è semplicemente tirare fuori perché le persone non sono tutte uguali. 

Allora, sforzarsi in un gruppo di captare una caratteristica, un pensiero, e farle emergere da quella persona, le restituisce quella considerazione che si merita, forse la aiuta anche a sentirsi meglio e trasferisce a tutti gli altri il concetto che tutti possono portare un contributo. 

Perché io sono profondamente convinta che tutti possono portare un piccolo, grande contributo. Poi le caratteristiche sono diverse, c’è chi ne porta 10 e chi ne porta mezzo, ma valorizzare anche quel mezzo aiuta a migliorare il clima e a trasferire quell’umiltà per cui chi ne porta 10 non si senta il “signore” del gruppo, e trasferisce forse il concetto che tutti dobbiamo aiutare per facilitare la vita degli altri. 

E’ faticoso, perché per fare questo non devi avere solo l’obiettivo di captare le informazioni che ti servono e andare avanti, devi avere anche l’obiettivo di ascoltare tutti e cercare da ciascuno di tirar fuori anche quel poco, a volte pochissimo, che può dare come contributo al gruppo stesso.

E’ un doppio binario: 1) Lavoro di gruppo per andare avanti e migliorare; 2) Ascolto del gruppo per tirare fuori le positività dove ci sono, portarle a fattor comune e rilasciarle al singolo che da solo non riesce a farle emergere. C’è qualcuno che da solo non ce la fa.

PV – Questo implica anche passare parecchio tempo con i collaboratori?

ML – Questo dipende da come imposti il lavoro. Puoi impostare il lavoro con una modalità direttiva, dai degli input, dei compiti, ed ognuno li sviluppa. Se invece imposti il lavoro, almeno nella parte iniziale, in modalità collaborativa, gli input li trasferisci non con una mail, “un sermone” io li chiamo così, ma con un lavoro di squadra, uno scambio. E cerchi poi, e non sempre ci si riesce, di far sì che questo modello venga trasferito anche dal tuo collaboratore ai suoi collaboratori. E qui a volte la catena si ferma, perché dipende dalle caratteristiche delle persone. Purtroppo, serve tempo per apprendere il modello collaborativo e il tempo è tiranno.

C’è chi ci crede, ci prova, e chi invece ha un modello completamente opposto. Quello che io racconto è il mio modo di vedere le cose, che cerco di trasferire ai miei collaboratori ma poi ciascuno di loro ci deve mettere del proprio, come è giusto che sia.

 

PV – Pensi sia possibile aiutare a sviluppare un certo tipo di mentalità, di visione?

ML – Si può aiutare a sviluppare, ma non si può modificare completamente le caratteristiche delle persone e forse non si deve neanche. Perché comunque chi è più direttivo rimarrà più direttivo, è giusto anche che sia così, però un minimo sarebbe opportuno che fosse mantenuto.

 

PV – Rimangono un paio di domande, ad una in parte hai già un po’ risposto ma te la rilancio: Si può insegnare la gentilezza? Questo modo di fare collaborativo, di ascolto di lavoro di squadra, ai collaboratori? Ai clienti? Ai fornitori? Ai capi?

ML – Parto dai capi.

Insegnarla ai capi è difficile però, anche verso i capi i comportamenti dell’individuo trasferiscono un concetto, magari non gli faranno cambiare modo di lavorare però se tu rimani te stessa, comunque, anche di fronte ad un capo che ha un approccio diverso, questo comportamento gli dà un messaggio. Poi il messaggio lo fa proprio o meno. Io con i miei capi non sono mai cambiata, sono sempre stata me stessa, poi se questo è servito o meno non lo so. Il modo migliore per insegnare, trasmettere qualcosa a qualcuno è il proprio comportamento.

PV – Ultima domanda: pensiamo al futuro. Cosa diresti ad una persona giovane che si affaccia al mondo del lavoro e invece cosa diresti ad una ragazza, ad una donna giovane che si affaccia al mondo del lavoro? 

ML – In generale direi, in base alla mia esperienza: approfittare di qualunque occasione per fare esperienza, non pensare alla linearità e alla verticalità di un percorso. Studiare il più possibile perché, quello che puoi fare durante il periodo degli studi dopo diventa più oneroso, ma subito dopo e se possibile anche durante gli studi, fare esperienze. 

Esperienze professionali le più varie possibili. 

E’ sbagliato, dal mio punto di vista, andare in linearità, a parte studi specifici, non rimanere sempre nello stesso alveo. Nel mio percorso professionale ho capito, per me stessa ma cerco anche di trasmetterlo ai miei collaboratori, che l’esperienza e la crescita orizzontale, su ruoli diversi, è quasi più importante di quella verticale. 

La crescita verticale di ruolo viene facilitata se la persona ha fatto più esperienze orizzontali, di vario genere, è un patrimonio inestimabile per affrontare le nuove sfide. 

Sfide, che più sali e più diventano organizzative e soprattutto di gestione delle persone, per cui le esperienze orizzontali aiutano moltissimo. Invece i giovani purtroppo a volte dicono: ho fatto l’università quindi devo far questo. Ok ma se intanto fai un’altra cosa ti aiuta e poi magari la lasci e vai avanti.

Per le ragazze… Ecco, a volte persone mi hanno chiesto: ma te hai trovato difficoltà nei rapporti con gli uomini, essendo donna? Penso, perché non mi ricordo più esattamente cosa è successo, di aver sempre avuto chiaro che il problema della disparità di genere è un problema degli altri non è mio. Non mi sono mai sentita, o ho pensato, che una donna abbia meno possibilità di un uomo e quindi quando ho incontrato comportamenti che in qualche modo stigmatizzavano questo concetto, ho pensato “questo è un problema tuo, non è un problema mio”, sono sempre andata avanti come se non ci fosse e non avvenisse questa cosa, magari neanche rispondendo direttamente al momento ma giocando di gentilezza ed andando oltre.

“Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. E avanti. 

Non so se è troppo superficiale…

PV – Non direi…Mi fai venire in mente una frase di Eleanor Roosevelt: “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”

ML – Sto leggendo un libro su Eleanor Roosevelt, “Una biografia politica” Interessante, perché le donne hanno addosso un po’ di vittimismo: quello mi ha fatto, quello mi ha impedito… Lascia perdere, vai avanti, è tutto vero ma bisogna uscire da questa morsa delle ingiustizie, che ci sono, ma prima di tutto agendo per farlo.

 

PV – Ultimissima domanda: Ti senti fortunata?

ML – Moltissimo, ma tanto. Io sono fortunata perché ero finita in un vicolo cieco e ne sono uscita. Però devo raccontarti una cosa, se no non prendo lezione da una lezione che ho ricevuto. 

Tempo fa ero con Michela Murgia, invitate da Lavazza, per parlare di inclusione e parità di genere a quadri e ruoli direttivi di Lavazza. La prima domanda per me fu: “Il tuo percorso professionale, raccontaci come sei riuscita da cassiera a…”. E il mio incipit fu: ritengo di essere stata fortunata… 

Michela Murgia fu molto carina e disse “Maura tu hai detto che sei stata fortunata no, sei stata brava! E questa è un’abitudine di tutte le donne. Tutte le donne che hanno avuto successo, quando parlano di sé dicono: sono stata fortunata… E’ un errore! Non è vero! Se ce l’avete fatta è perché siete state brave”. 

E io son rimasta un po’ così… Da un lato ha ragione, però io mi sento fortunata. Ma non ce la faccio a dirlo che sono stata brava. Me lo ha detto lei che non c’è più, te lo dico con dolore, mi vien da piangere a dirtelo, però mi ha dato una lezione.

Se ti senti fortunata, ti senti libera, certo son stata brava, però me l’ha detto lei e mi ha dato una lezione, ma i miei stereotipi adesso mi fanno rispondere allo stesso modo.

Comunque, al di là delle mie capacità se non c’è una “congiuntura astrale” che mette insieme le caratteristiche della persona e le necessità dell’impresa, il percorso, non ce la puoi fare a farlo, non basta la sola capacità.

PV Grazie !




Paolo Vallarano

59 anni, sposato 3 figli. Diversi anni di esperienza in azienda (Banca di Roma e Mediaset) e nella consulenza
(Cegos e Istituto Piepoli). Da oltre 20 anni, come freelance o con Ad Meliora, aiuto imprese e persone a:
sviluppare competenze, attraverso interventi di formazione; rispondere a domande attraverso progetti di
ricerca; realizzare obiettivi di crescita attraverso il coaching. Jung dice che chi guarda fuori di sé sogna e chi
guarda dentro di sé si risveglia, sto cercando l’equilibrio tra questi due sguardi.

 

Maura Latini

Classe 1957, è una fiorentina cresciuta nella vallata del Mugello, figlia di un operaio metalmeccanico e di una ricamatrice. Maura era una giovane legata al territorio ma affamata di mondo, varietà ed arte. Le strade della vita l’hanno portata nel mondo dei supermercati. Un percorso iniziato prima per caso e per desiderio di autonomia economica, poi per scelta sempre più sentita. Lavorando in COOP si è infatti accorta che poteva fare quotidianamente e in modo concreto la differenza per le persone, per gli animali, per il pianeta, trasmettendo i suoi valori e ideali agli altri. Oggi è la presidente di COOP Italia.

 

2 comments

  1. Paola simonetti

    Buon giorno
    Sono molto confortata aver letto leadership gentile : nasco come assistente alla poltrona di studio dentistico ( 42 anni di lavoro)

    Per poi spiccare il volo nella crescita professionale( soffocata nel proprio lavoro ma realizzata nei campi adiacenti :formazione per assistenti.ed
    organizzazione e management odontoiatrica )

    Il mio corroborante per sfondare tetti di cristallo:
    Studio ,aggiornamento continuo.,corsi di approfondimento per poi trasmettere alta motivazione ai discenti : far ritrovare loro fiducia in sé stessi ,nuove offerte di occupazione e migliorare la nostra vita 🌱

    Grazie leadership gentile
    Paola

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