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Il contributo degli analisti, dei progettisti e dei formatori nel superamento della dicotomia tra hard e soft skills

La dicotomia tra le hard skills (riconducibili alle competenze tecniche acquisite durante il proprio percorso scolastico e professionale) e le soft skills (che, invece, si aprono alla sfera più intima dell’individuo, riflettendone la personalità e le attitudini) è una questione calda all’interno del mondo del business della formazione che andrebbe fortemente dibattuta.

Molte imprese, infatti, fanno fatica a contestualizzare e a dare il giusto peso alle hard skills e alle soft skills all’interno della propria realtà professionale. Da un lato, la tendenza è quella di prediligere la formazione tecnica a discapito di quella trasversale, poiché percepita come immediatamente spendibile e, quindi, funzionale al raggiungimento di obiettivi misurabili. Dall’altro, lo sviluppo delle competenze soft avviene attraverso percorsi formativi standard che spesso non rispecchiano i reali fabbisogni del contesto di riferimento. Inoltre, nella maggior parte dei casi, le competenze tecniche e quelle relazionali sono intese come due elementi distinti e separati ed è facile dimenticarsi, così, che anche per apprendere contenuti tecnici sono importanti gli aspetti emotivi e relazionali.

Il perseverare di questa concezione dicotomica deriva da diversi fattori. In primis, da un approccio superficiale all’analisi del fabbisogno, la quale dovrebbe identificare gli specifici macro e micro-obiettivi delle organizzazioni in un’ottica di ritorno di investimento, ma che spesso, purtroppo, si riduce all’individuazione di sporadiche necessità totalmente decontestualizzate da un percorso di sviluppo concreto e strutturato. A questo proposito, è importante sottolineare come il concetto di “bisogno” debba essere considerato in una duplice accezione: la prima fa riferimento alla sfera dell’organizzazione e si esplora attraverso un’analisi strutturale delle dinamiche, delle strategie, dei processi e degli obiettivi aziendali, mentre la seconda afferisce alla dimensione dell’individuo e, quindi, alle relazioni interpersonali, ai desiderata, alle aspettative e alle criticità evidenziate dai singoli.
In secondo luogo, l’errata contrapposizione tra hard e soft skills può essere alimentata in fase di progettazione dei percorsi di formazione. Mediante l’attività progettuale vengono identificati quelli che sono i contenuti, le modalità e i metodi formativi. Il suo successo è determinato, innanzitutto, da un processo di ricerca e di analisi approfondito sulle materie di interesse, condito da una buona dose di creatività e di competenze tecniche da parte del progettista, ma soprattutto dalla capacità di saper interpretare le sfumature del fabbisogno, esaltando le caratteristiche e gli obiettivi dell’organizzazione e delle persone che la compongono.

È possibile distinguere due approcci alla progettazione: a catalogo e sartoriale. La progettazione a catalogo può rappresentare un’opportunità per le aziende che dispongono di un budget ridotto e che necessitano di organizzare in breve tempo il percorso di apprendimento. Si tratta di un approccio particolarmente diffuso tra le PMI e che ritroviamo spesso nel mondo della formazione finanziata. Tuttavia, il suo limite principale è rappresentato dal fatto di non riuscire a soddisfare appieno tutti gli elementi della domanda, in quanto le proposte formative si compongono di una lista preconfezionata di percorsi dal taglio generico, a discapito di una visione progettuale di più ampio respiro, completa e ricca di sfumature. Quando si verifica questa casistica è facile imbattersi nella netta dicotomia tra hard e soft skills, in quanto non è possibile individuare tutti i gruppi di competenza che, invece, si potrebbero valorizzare con maggiore incisività in un processo sartoriale. Questo secondo approccio, invece, consente alle aziende di personalizzare i percorsi formativi, ottimizzandoli in termini di efficacia rispetto al contesto di riferimento e agli obiettivi emersi in fase di analisi. In questo frangente, è più facile imbattersi in una versione fluida e meno compartimentata delle competenze hard e soft, le quali coesistono e si autoalimentano vicendevolmente. Tuttavia, la dimensione sartoriale implica un investimento maggiore in termini di tempo e di budget da destinare alla costruzione di percorsi formativi più aderenti a quelli che sono gli specifici fabbisogni dell’organizzazione e delle persone che la compongono.

Infine, l’ultimo fattore da analizzare che potrebbe alimentare questa dicotomia riguarda il ruolo svolto dal formatore, il quale ha il compito di guidare e di supervisionare l’esperienza, favorendo la qualità dell’intervento formativo. Citando le parole del Professor Gian Piero Quaglino all’interno del libro “Fare formazione: i fondamenti della formazione e i nuovi traguardi”, “[…] la qualità della formazione sembra, infatti, coniugarsi ormai difficilmente con l’adozione dei “vecchi modelli”, delle teorie tradizionali, dei modi abituali di pensare e condurre un progetto educativo.” [1]Gian Piero Quaglino, “Fare formazione: i fondamenti della formazione e i nuovi traguardi”, pag. 18 Questo estratto evidenzia come il perseverare di una concezione obsoleta del ruolo del formatore, legata alle pure logiche dell’insegnamento, possa influire negativamente sull’efficacia del percorso formativo e sul raggiungimento di un più elevato livello in termini di risultati. Questo tipo di approccio, inoltre, potrebbe favorire le competenze tecniche a discapito di quelle trasversali, poiché percepite come immediatamente spendibili e, quindi, funzionali al raggiungimento di obiettivi misurabili.

A fronte di queste considerazioni, appare opportuno sottolineare come gli analisti, i progettisti e i formatori debbano farsi portatori di una riflessione sugli obiettivi della formazione, riconoscendo ed abbracciando la propria responsabilità nell’evitare di ridurla alla mera trasmissione di contenuti fini a sé stessi. I concetti e le nozioni teoriche rimangono, senza dubbio, un punto di partenza imprescindibile per innestare il seme della consapevolezza personale e professionale nei partecipanti, ma non devono essere considerati l’obiettivo ultimo della formazione che, quando si uniforma alle logiche e alle richieste standardizzate del committente, rischia di ridurre sé stessa a un semplice mezzo mediante cui l’azienda esercita proselitismo verso i lavoratori in un’ottica di conformazione, a discapito dell’efficacia dell’intervento.

La formazione ha, invece, un più alto valore
. Lo riassume in modo straordinario il Professor Gian Piero Quaglino all’interno del libro “La scuola della vita. Manifesto della terza formazione” in cui introduce il concetto di terza formazione, la quale si muove esclusivamente in armonia con i bisogni e le necessità che abitano il nostro mondo interiore. Per citare le sue parole «[…] la formazione deve riuscire a essere quello spazio riservato ed esclusivo, appartato e privilegiato, in cui si pensa e si fa il “dare forma a sé”, senza che ciò rappresenti alcun compito definito, alcun risultato atteso». [2]Gian Piero Quaglino, “La scuola della vita. Manifesto della terza formazione”, pag. 18 Ecco che, allora, i concetti di hard e soft skills si svuotano del loro significato comune, così come inizia ad apparire obsoleta la logica che muove le attività di progettazione e gestione dei corsi di formazione erogati all’interno delle aziende. Il focus si sposta dal “saper fare” al “saper essere” e i ruoli dell’analista, del progettista e del formatore diventano determinanti nel demolire la standardizzazione dei percorsi di apprendimento e la compartimentazione delle abilità e conoscenze. La formazione assume, quindi, un significato assoluto nell’atto di avvicinare la persona alla massima espressione di sé, rispettando e valorizzando caratteristiche e peculiarità e facendole fiorire a vantaggio dell’organizzazione.

Beatrice Testa

Training Specialist, si occupa di progettazione, gestione e rendicontazione di progetti di formazione finanziata. È specializzata in “Comunicazione Digitale” presso IED – Istituto Europeo di Design”. Ha lavorato in Inghilterra presso un’importante organizzazione all’interno della quale si è avvicinata alla scrittura di progetti volti a valorizzare il territorio e l’imprenditorialità locale. Dal suo rientro in Italia, ha collaborato come progettista in diversi enti di formazione. Attualmente sta conseguendo il Master “Formazione Formatori”, promosso da AIF – Associazione Italiana Formatori.

E-mail: beatrice.testa21@gmail.com

Riferimenti

Riferimenti
1 Gian Piero Quaglino, “Fare formazione: i fondamenti della formazione e i nuovi traguardi”, pag. 18
2 Gian Piero Quaglino, “La scuola della vita. Manifesto della terza formazione”, pag. 18

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