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Pensare le esperienze di lavoro. L’importanza di dare un senso alla pratica quotidiana

Nella nostra storia di formatrici e formatori ci confrontiamo spesso con i “decaloghi”, che indicano come essere una buona manager, un buon professionista, oltre ad essere un ottimo capo, collaboratore, genitore, ecc.

Ogni giorno incontriamo l’esperienza reale, nella sua meravigliosa imperfezione che è una fonte di apprendimento fondamentale, che ci nutre e fa crescere.
Fin dalla nascita, impariamo con i nostri sensi e nella relazione con l’altro e pian piano, cominciamo a sviluppare pensieri in grado di dare un significato a ciò che ci accade, creando le basi per futuri apprendimenti. Questa continua necessità di rielaborare le esperienze e collocarle all’interno di un orizzonte comprensibile e significativo attraversa la nostra vita e, quando incontriamo situazioni che non riusciamo a comprendere, ci sentiamo affaticati e a disagio.

Questo succede anche nei rapporti di lavoro e richiede tempo per una sua elaborazione positiva e generativa. Come si può fare, quindi, per trasformare anche i momenti di fatica e incertezza in occasioni di nuovo apprendimento? Su noi stessi e sulla relazione con gli altri e con l’organizzazione?
Una strada percorribile è quella di condividere le emozioni all’interno di un gruppo generativo, composto da persone in grado di ascoltare ed accogliere ogni singola storia e che la possano restituire attraverso una sinfonia di sguardi gentili ed attenti, aiutando il narratore o la narratrice a trasformarla e ad accoglierla nuovamente dentro di sé.

Durante gli incontri di un gruppo di supervisione delle esperienze di lavoro, attraverso il racconto di una propria esperienza o anche l’ascolto dell’esperienza dell’altro, c’è la possibilità di arricchire le proprie conoscenze, competenze ed abilità.
In che modo si può realizzare tutto questo? Esplicitando eventuali difficoltà e momenti di impasse incontrati nella propria attività professionale, facendo emergere i vissuti emotivi e i processi cognitivi sottostanti, riconoscendo eventuali resistenze interne che potrebbero essere d’ostacolo all’approfondimento e, infine, attivando una capacità riflessiva su casi concreti portati dai colleghi del gruppo.

Attraverso la condivisione di esperienze tra persone attente alla dimensione relazionale, ognuno con la propria storia e con il proprio percorso formativo, nasce la possibilità di apprendere gli strumenti necessari da utilizzare nella relazione con il proprio cliente/interlocutore interno alle organizzazioni.

Come condividere la propria storia senza ricadere nel vortice di “consigli” e “soluzioni” che non ci convincono?
Per poter narrare le esperienze è importante il sostegno di una metodologia che strutturi la relazione, focalizzando i punti che possono aiutare verso un’evoluzione positiva dell’esperienza narrata.
Il gruppo di supervisione che stiamo raccontando in questo articolo, utilizza uno schema consolidato da anni di esperienza ed è un modello che valorizza ogni partecipante come co-pensatore e il gruppo nella sua totalità come luogo accogliente, al quale affidare i propri pensieri e le proprie emozioni. L’approccio teorico utilizzato mette al centro la relazione che ogni individuo ha con se stesso, con il gruppo, con l’organizzazione e con la società in senso più ampio.

È una metodologia che si ispira ai “Gruppi Balint”, creata originariamente come supporto per i medici di famiglia ed adattata successivamente ad altre figure professionali. In particolare, viene utilizzata una variante di questo metodo centrata sulla narrazione delle esperienze lavorative, siano esse relazioni Consulente (o Counselor o Coach) / Cliente, oppure relazioni tra capo/collaboratore o tra colleghi di lavoro.
È una metodologia che mette al centro l’individuazione dei fattori emozionali operanti nella relazione (tra due o più persone, con il gruppo e con l’organizzazione) e il riconoscimento del loro ruolo in ambito lavorativo, valorizzando ogni persona presente, che si gioca nei diversi ruoli, sia come portatore del caso, sia come co-pensatore.
Il supervisore (o in alcuni casi la coppia di supervisori), oltre a presidiare il setting dell’incontro, riprende i temi emersi ricercando il filo del pensiero che circola nel gruppo ed amplia la riflessione creando legami con altri pensieri generativi.

Quali esperienze relazionali possono essere portate nel gruppo? Tutte le esperienze hanno valore, perché ogni vita è importante ed interessante.
Immaginiamo un “caso” discusso nel gruppo, usando (per semplificare) il termine “consulente” invece di “coach” o “counselor” o “consulente di carriera” o altre possibili definizioni.
Pensiamo alla relazione con una giovane donna che si affaccia allo studio di consulenza dicendo:“ho delle difficoltà di relazione nel lavoro, non vado d’accordo con il capo (o con i colleghi, o con i collaboratori, ecc.), vorrei cambiare lavoro”.
Nella narrazione che la “consulente” fa al gruppo di supervisione emerge la situazione specifica della cliente, le cose dette, le domande fatte, le risposte date.
Il gruppo domanda, amplia l’indagine chiedendo maggiori dettagli sul contesto nel quale la cliente si muove, sul tipo di organizzazione, sulle attività svolte, sulle emozioni portate, sui suoi desideri e sui timori. Poi le domande rivolte al “sé” della consulente: “Come ti senti?”, “Quali emozioni hai provato nella relazione con la cliente?”, “Qual è la domanda che stai facendo in questo momento al gruppo?”. 
È importante mettere a fuoco il “sentire” della consulente, perché la sua sensibilità e la sua competenza sono i primi strumenti che si possono  utilizzare per una lettura più approfondita del caso.
Nella terza fase dell’incontro, il gruppo riflette sul caso, ogni co-pensatore si sperimenta in un ruolo riflessivo, portando il proprio punto di vista in merito a ciò che è stato narrato, facendo emergere una sinfonia di sguardi che arricchiscono la consulente e le permettono di trovare la strada per uscire dalla situazione di incertezza.
Quali apprendimenti per la/il protagonista del «caso»?
È un’occasione per riflettere su una situazione che ha lasciato un senso di disagio, dubbi ed incertezze, per comprenderla meglio, portandosi a casa nuovi punti di vista, che aiutano a trovare la via per uscire da un’impasse che blocca le azioni e i pensieri.
Inoltre, si può apprendere qualcosa di nuovo su di sé e sul proprio modo di affrontare un certo tipo di situazione, con la certezza che ogni azione ed emozione sarà accolta con rispetto all’interno di un gruppo che ascolta con attenzione.
E quali apprendimenti per i co-pensatori?
Possono immaginarsi nella situazione portata dal «caso»: Cosa farei se fossi al suo posto? Cosa potrei fare per supportare il mio interlocutore nel compiere un «esame di realtà» e di porsi con modalità nuove e progettuali? Confrontando il proprio punto di vista con quello degli altri e vedere il «caso» secondo diverse angolature
È inoltre importante soffermarsi sulla dimensione «interna», propria del consulente e del cliente, ascoltare e ascoltarsi nelle emozioni e nelle reazioni : Come mi sentirei in questa situazione? Come potrei capire cosa mi sta raccontando l’altro oltre le parole?
In questo modo si può consolidare la capacità di muoversi con agio tra i diversi piani della relazione, con il proprio sé, con l’altra/o duale, con il gruppo, con l’organizzazione/istituzionale e con la società in senso più ampio; ogni piano infatti è strettamente interconnesso con tutti gli altri.
E per la/il supervisore che coordina il gruppo?
C’è il piacere di capire che la vita eccede sempre le teorie, precede ogni possibile interpretazione, inventa strade nuove per creare occasioni ed opportunità, apre alla relazione feconda tra le persone e, infine, cattura la bellezza di ogni incontro.

 

Alcuni libri di riferimento

Per quanto riguarda l’autenticità nella relazione e la considerazione positiva incondizionata dell’altro si può leggere Carl R.Rogers, fondatore dell’idea di Counseling “La terapia fondata sul cliente” Martinelli Editore

Per la metodologia degli “autocasi”, che rielabora in modo originale il pensiero di Balint il riferimento è la Scuola di Ariele, con i materiali presentati in aula e nei diversi convegni. Uno fra tutti “La Consulenza al Ruolo”, a cura di D.Forti e D. Patruno, Guerini Editore

Per il gruppo come contenitore in cui possono nascere pensieri generativi (“sognanti”) il riferimento è W.Bion, un libro tra tanti “Introduzione al pensiero di Bion”, di Grinberg, Sor e Tabak de Bianchedi, editore Raffaello Cortina

Annamaria Rigoni

Trainer e Supervisor Counselor (con Assocounseling) , Senior Practitioner Coach (con EMCC Global), Consulente Organizzativa e Formatrice con molti anni di esperienza alle spalle, sono stata docente e responsabile del Master Triennale in Counseling e Sviluppo Organizzativo nella Scuola di Ariele.

Provo un’autentica curiosità per ciò che accade nella vita delle persone, dei gruppi e delle organizzazioni e il vivo interesse di supportare i processi di crescita in tutti questi contesti.

E-mail: annamaria.rigoni@outlook.com

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