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Formarsi alla mindfulness MBSR (un percorso rigoroso) – Parte 1

Oggi la mindfulness è molto diffusa, ma forse poco conosciuta

Oggigiorno la mindfulness sembra essere un po’ come il ketchup, qualcosa da mettere un po’ dappertutto, anche se va a rovinare molte pietanze; pare che oggi si usi fare proprio così.
Sempre più spesso, oggi, troviamo proposte di corsi di mindfulness con sconti dal 60% al 90%. Comunicazioni che svelano una totale mancanza di serietà e professionalità, cosa che dovrebbe far dubitare tutti sulla reale qualità della proposta; una gara a chi si “prende” l’ultimo cliente. Sono proposte commerciali che paradossalmente convincono molte persone e che lasciano sottintendere che con un “pacco” di slide e tante informazioni, ma senza un vero e proprio percorso di apprendimento, si possa addirittura insegnare la “materia” più profonda che ci sia: l’essere coscienti.
Eh sì, perché noi crediamo che l’essere coscienti sia pensare, risolvere problemi, trovare soluzioni, pianificare, ma non è così.
La mindfulness non è una attività concettuale, è l’esatto opposto. È lo stato non concettuale della mente e come tale, per conoscere veramente ciò che chiamiamo “mindfulness”, occorrono prima di tutto anni di pratica ed esperienza personale, e poi un percorso specifico per apprendere come condividere tale “materia” ed insegnarla agli altri in modo autentico ed etico.
In mancanza di questo, la mindfulness viene inserita quotidianamente in contesti diversi, quasi come cornice per tutto e per tutti.
I binomi d’eccezione che incontriamo sono Psicologia & Mindfulness, Yoga & Mindfulness, Formazione & Mindfulness. Sembra che oggi gli psicologi siano sempre più interessati a utilizzare le “tecniche” di mindfulness per risolvere i problemi dei loro pazienti, mentre gli insegnanti di Yoga cercano di insegnare la mindfulness piuttosto che lo Yoga, così come molti formatori e coach la inseriscono nella loro proposta, perché è di tendenza e quindi è ricercata dal mercato. Ancora per poco, però, perché a breve la parola mindfulness suonerà obsoleta, tanto viene usata e talvolta abusata.
Quando nei primi anni del 2000 ho iniziato ad insegnare la mindfulness quasi nessuno sapeva che cosa significasse e mi trovavo spesso nella condizione di doverne spiegare il significato, contestualizzando le sue origini e come praticarla. Al giorno d’oggi ho quasi paura ad usarla, perché sembra che tutti sappiano cosa sia e così un po’ la evito. Se da un punto di vista, tale diffusione è positiva, dall’altro non possiamo ignorare che talvolta viene banalizzata e/o, proposta da persone che non hanno una pratica vera, sincera e dedicata.
Ancora per un po’ la mindfulness sarà un “asso piglia tutto” e uno strumento da avere nella cassetta degli attrezzi. La consapevolezza, però, non è un attrezzo, la persona non è un meccanico, né una macchina da riparare, e la consapevolezza è uno stato interiore per riconnettersi a ciò che veramente siamo, un percorso di riscoperta interiore. Come tale non può essere proposta o inserita nel proprio lavoro, se non in modo professionale, e non solo dopo aver letto dei libri o aver seguito un breve corso.
Un ulteriore problema sta nel fatto che numerose e confondenti sono le proposte “formative” sulla mindfulness, che si trovano sui social media, basate sul digital learning in asincrono, fatte di voci narranti e blocchi di slides, che non solo illudono le persone di poter praticare, ma anche di insegnare la mindfulness stessa.
Forse è il caso di fermarsi un momento, di riflettere e fare un po’ di chiarezza su cosa sia la mindfulness e quale sia un percorso di formazione.
La Mindfulness, quando inizialmente è arrivata in occidente, godeva di un bagaglio filosofico millenario tramandato di persona in persona, che ne costituisce ancora oggi il fondamento e la prospettiva epistemologica.
La grande e veloce diffusione avvenuta in Italia negli ultimi dieci anni ha forse lasciato un po’ a lato alcuni aspetti fondamentali del suo significato e del suo intento: la conoscenza e la comprensione di se stessi, della propria natura personale e relazionale, e l’attenuazione al disagio del vivere attraverso la conoscenza e comprensione dello stesso e delle sue cause. Spesso la modalità con cui viene usato il termine mindfulness porta a banalizzare e ridurre a mera tecnica ciò che tecnica non è, a parcellizzare e clinicizzare ciò che storicamente ha una dimensione ben più ampia: quella dell’essere umano.
Da un punto di vista storico, la mindfulness affiora in occidente alla fine dell’Ottocento e comincia a diffondersi intorno alla metà del Novecento, provenendo dalle correnti contemplative dell’India, del sud-est asiatico, del Tibet e delle regioni himalayane, della Cina e del Giappone. Queste tradizioni tutt’oggi ricche ed attive praticano e preservano l’insegnamento del Buddha, basato sull’attenta presenza o piena consapevolezza, fulcro della sua esperienza e del suo stesso insegnamento.
Questa corrente di pratica di consapevolezza, dalle originarie tradizioni contemplative ad oggi, tratta della possibilità di coltivare una coerenza tra esperienza e relazioni che chiamiamo etica, il che significa sviluppare un impegno sincero, una visione profonda della vita accanto ad un modo di vivere fondato sul rispetto della persona e delle relazioni interpersonali.
In questa fase di trasposizione della tradizione millenaria nel mondo occidentale, una delle figure al centro di questo movimento è stato il prof. Jon Kabat-Zinn, docente di biologia molecolare della Medical School dell’Università del Massachusetts, che a seguito di molti anni di pratica e studio rigoroso, ha creato nel 1979 il programma MBSR Mindfulness-Based Stress Reduction, al fine di trasporre, trasmettere e rendere accessibili quanto fruibili le potenzialità dei benefici della pratica della mindfulness a quante più persone possibile, attraverso un programma basato su un approccio, un linguaggio e contenuti specifici.
In tal modo, la prospettiva della mindfulness propone una nuova modalità per entrare in contatto intimo e profondo con le proprie esperienze, e favorisce lo sviluppo di una particolare attenzione al proprio modo di percepirle, permettendo di rinnovare il consueto reagire ad esse. Jon Kabat-Zinn l’ha definita: “la consapevolezza che sorge dal prestare attenzione, intenzionalmente, al momento presente, e in modalità non giudicante” (Jon Kabat-Zinn).
Questo stato di presenza mentale è sempre più al centro dell’interesse della ricerca scientifica in medicina, nelle neuroscienze, in psicoterapia e in ambito educativo. Oggi il programma MBSR viene proposto in migliaia di ospedali negli Stati Uniti, in Europa e in Asia come intervento di medicina partecipativa e sempre di più viene inserito in ambiti sociali, professionali e educativi.
La pratica della mindfulness promuove un approccio consapevole alle cause dello stress e aiuta a riconoscere i propri automatismi mentali e comportamentali permettendo di ridurre il consueto coinvolgimento con essi.
L’intenzione di Jon Kabat-Zinn è stata proprio quella di aiutare le persone che si trovavano nel delicato processo medico ospedalizzante a ritrovare e coltivare quella risorsa, attraverso la pratica di mindfulness, che permettesse loro di prendersi cura di sé e dare un profondo significato al proprio vivere, nel momento in cui questo poteva loro sfuggire. Tale approccio è stato infatti definito come medicina partecipativa, nel senso che in tal modo le persone potevano trovare la modalità di occuparsi di se stesse ed essere partecipi attive del loro stesso processo di guarigione.
In particolar modo, egli disegnò il programma MBSR per rivolgerlo inizialmente a pazienti, medici, operatori sanitari e amministrativi dell’ospedale, non come cura, ma come guarigione.
Ma quale tipo di guarigione intendeva Jon Kabat-Zinn?
È importante che lo spieghi perché tale termine non venga frainteso.
La guarigione è qui intesa come il ritrovare il senso profondo della propria vita nonostante ciò che ci sta accadendo, il riconoscere il mistero e la pienezza della persona al di là delle situazioni che ci accadono, riscoprire il senso di integrità e dignità dell’essere in ogni momento. La “guarigione” che si coltiva con la pratica della mindfulness è una questione esistenziale, che avviene ora, che è possibile e disponibile solo adesso e non domani.
Per questo non ha nulla a che vedere con il consueto approccio del problem solving, oppure con l’assidua ricerca allo stare bene, con l’estenuante tentativo di cambiare o gestire le situazioni e le esperienze, perché comunque le cose accadono, sempre.
Anzi, ha a che vedere con lo scoprire e il coltivare la consapevolezza o presenza interiore che permette di incontrare, accogliere e vivere pienamente le situazioni della vita.
Ha a che vedere con l’incontrare se stessi, perché se vogliamo cambiare qualcosa di noi significa che non siamo ancora disposti ad incontrarci. Queste ultime righe possono riassumere la prospettiva della mindfulness, il cui significato può essere compreso probabilmente solo dopo un lungo periodo di pratica e di ricerca interiore. Un approccio ben distante dalla Fast Mindfulness, dalle Tecniche Mindfulness, un approccio ben lontano dalla fatidica promessa di molta formazione: ho io gli strumenti per te e per risolvere i tuoi problemi! No, non è questa la mindfulness.

 

Franco Cucchio

MBSR Senior Teacher Trainer per l’Italia del Mindfulness Center dipartimento della School of Public Health della Brown University. Coach ICF International Coach Federation. Direttore di Motus Mundi Scuola Italiana Mindfulness

E-mail: info@motusmundi.it

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