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L’importanza di trovare un equilibrio tra scuola e relazioni: una doverosa riflessione

“La cura educativa si sostiene su un pieno riconoscimento della dignità della persona, e su una forma particolare di amore pedagogico che equivale alla percezione profonda dell’originale valore connesso alla persona che favorisce una equilibrata e non possessiva assunzione di responsabilità sul benessere e sullo sviluppo di colui con il quale si istaura la relazione”
(D. Simeone, 2002)


Per anni la scuola è stata considerata, nell’immaginario collettivo, come mero luogo di studio, dove i docenti insegnano e gli studenti imparano, ma la scuola, in realtà, è molto di più: è ambiente in cui, prima di ogni cosa, si instaurano relazioni che possono essere più o meno complesse e che non devono essere sottovalutate. Le relazioni sono la cosa più importante in qualsiasi tipo di rapporto e le interazioni tra apprendimento ed affettività evidenziano quanto siano fondamentali gli atteggiamenti e il “modus operandi” dell’insegnante in classe.

Partiamo da qui e pensiamo ai fattori fondamentali di cui abbiamo bisogno affinché si possano gettare le basi di una “buona relazione” che possa portare ad un proficuo rapporto non solo didattico e lavorativo, ma soprattutto umano.

Partiamo dalle emozioni
È innegabile: la scuola è cambiata.

Quotidianamente si possono sentire commenti relativi a quanto le cose siano mutate: partendo dal lessico (pensiamo alla scuola materna denominata ora scuola dell’infanzia, dalla maestra che diviene docente o all’unità didattica che si trasforma in unità di apprendimento), ai cambi di programma ed orientamenti, al modo di essere degli insegnanti, dei bambini e, non ultime, delle famiglie.

Gestire le relazioni non è semplice, ma è evidente che bisogna costruire ciascuna relazione passo dopo passo, con gradualità ed umiltà, nel pieno rispetto e consapevolezza che il “nostro” punto di vista può anche essere diverso da quello degli altri. Il primo step da compiere sia con i colleghi che con la famiglia è quello di essere aperti al dialogo e al confronto, ed è proprio qui che sorge il primo ostacolo. Aprirsi all’altro è difficile, si diventa vulnerabili, ci si sente esposti alle critiche e al giudizio, per queste ragioni diviene più semplice rimanere nella propria “comfort zone”, restando ancorati ad opinioni “neutre” o a forme di qualunquismo. Invece, la via da seguire è esattamente opposta. Non bisogna avere il timore di “raccontarsi” e di esprimersi, e neppure essere giudici severi rispetto alle opinioni altrui. In sintesi, gli insegnanti sono chiamati a cogliere il cambiamento nella sua complessità, a proporsi come facilitatori dell’apprendimento, come educatori ai valori della convivenza democratica e come strumenti per il dialogo e l’apertura verso i bambini e le famiglie. Questo è ciò che ci si propone e che vorremmo in ciascun ambiente scolastico ma sappiamo che non sempre questo avviene.

Ecco che allora entra in gioco un’altra parola chiave: formazione.

Sarebbe opportuno che in ogni scuola vi fossero almeno due o tre docenti (o almeno la coordinatrice, tenendo in considerazione anche il numero del personale dell’istituto) con una preparazione più approfondita in merito alle tecniche di facilitazione delle riunioni e gestione dei conflitti, così che potessero fare da moderatori durante le riunioni all’interno del collegio docenti e nei colloqui con le famiglie. È necessario ribadire, infatti, che la formazione nell’ambito della comunicazione, nella gestione dei conflitti e nella conduzione dei colloqui non è consigliabile ma necessaria.
Per stabilire una buona comunicazione occorre instaurare una buona relazione, altrimenti ogni sforzo viene reso vano, poiché qualsiasi tentativo risulterà astratto ed aleatorio. La buona comunicazione non può essere tale se non si basa su una relazione emotivamente ricca di energia e desiderio, che non significa evitare qualsiasi tipo di conflitto, bensì di volere instaurare un rapporto reale e concreto con l’altra persona. Non a caso, la dottoressa Traute Taeschner nel suo testo “L’insegnante magica” parla di “buon rapporto affettivo che si raggiunge con un buon rapporto comunicativo”, ecco perché la relazione e la gestione delle emozioni sono fondamentali, soprattutto quando si parla di scuola, ovvero di bambini, docenti e famiglie in cammino verso un percorso di crescita distinto ma che conduce ciascuno verso la stessa meta, ovvero al benessere e allo sviluppo integrale ed armonico della personalità.

Come ho scritto precedentemente, i cambiamenti sono stati tanti e gli insegnanti sono chiamati a cogliere per primi questa realtà e a continuare la loro “missione” di educatori, ad agire un ruolo che necessariamente deve essere condiviso da tutti, che li lega tra loro e li carica di responsabilità. C’è bisogno di lavoro di squadra che miri a restare al passo con i cambiamenti e allo stesso tempo che eviti l’esplodere di conflitti e incomprensioni.
Il conflitto è un tentativo di conciliazione non riuscito tra diversi punti di vista, diversi interessi e diverse personalità. Nel caso in cui si verifichi una situazione del genere si deve far ricorso alla tolleranza, ovvero alla capacità di accettare e rispettare le diversità.
Per molti insegnanti non è facile relazionarsi nel proprio ambiente lavorativo, molti temono di non riuscire a superare costruttivamente i conflitti, anche se sanno che un buon clima lavorativo è alla base del proprio e altrui benessere. Ecco che in questo contesto tornano due importantissime parole menzionate in precedenza, ovvero dialogo e formazione. Il primo aiuta a “ dipanare la matassa” a rendere più chiaro e meno pesante il clima lavorativo, inducendo all’apertura e al confronto, la seconda diviene strumento primario in grado di sostenere il “peso” delle incombenze scolastiche quotidiane.
L’essere formati ed informati sulle tecniche e le strategie comunicative aiuta e sostiene docenti e genitori nella costruzione delle relazioni che stanno alla base dell’impegno educativo quotidiano (e permanente) della scuola. La parola d’ordine, a questo proposito potrebbe essere: “O ti formi o ti fermi”…
Infine la tolleranza aiuta ad accettare e rispettare le diversità e a trasformarle in punti di forza, in possibilità di crescita e di maturazione dell’identità personale e sviluppo delle competenze.

Il binomio “affetto – apprendimento”
È doveroso sottolineare come molto spesso l’educazione e la cultura occidentale abbiano promosso la disconnessione dell’uomo dalle emozioni portandolo ad un impoverimento di relazioni e ad una profonda ignoranza nella gestione delle emozioni stesse.

Tutto questo ha generato non solo una visione frammentata dell’individuo ma anche, spesso, la rottura delle relazioni. Affetto ed apprendimento viaggiano insieme durante lo sviluppo della persona . Se pensassimo di più a questo, capiremmo meglio i nostri figli e i nostri allievi e capiremmo le loro ragioni quando iniziano a mostrare antipatia per una materia e/o per un insegnante. Infatti, affettività e aspetto cognitivo comunicano tra di loro, dialogano e, grazie a questo nasce la motivazione.

Sono state compiute numerose ricerche in merito a questo argomento, dove viene sottolineata l’importanza dell’affettività come fattore determinante per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti. Non a caso, Piaget, nei suoi innumerevoli studi riguardanti lo sviluppo del bambino, sostiene che: “[…] senza affetto, non ci sarebbe alcun interesse, nessun bisogno, nessuna motivazione e di conseguenza, domande o problemi non sarebbero mai posti e non ci sarebbe intelligenza…”. L’interdipendenza e l’interazione tra affetto ed apprendimento, secondo J. Piaget , è evidente. Tanto più un insegnante si mostra empatico, tanto più la relazione è facilitata. Nel momento in cui il bambino viene stimolato nella sua curiosità, nasce l’interesse per un argomento, un fatto o una questione, inizia un processo di apprendimento e scaturisce il successo dell’apprendimento stesso.

Per concludere, desidero riassumere quelle che ritengo essere le parole chiave più importanti al fine di costruire una “Buona Relazione”, ovvero:
– rispetto
– confronto
– dialogo
– responsabilità
– tolleranza
– apertura mentale
– formazione ed informazione

Questo schema può apparire banale ma non lo è.
L’invito è quello di scrivere queste parole in classe, su di un cartellone e/o nell’aula degli insegnanti, quella adibita alle riunioni… questo semplice consiglio si rivelerà presto utile: avere sott’occhio la visione di parole di cui si fa spesso un utilizzo smodato, induce il lettore, prima o poi, a porre l’attenzione sui termini e, successivamente, sulle azioni…
È un metodo collaudato… Provare per credere.

Riferimenti bibliografici

  • T. Taeschner “L’insegnante magica” Borla Edizioni
  • J. Piaget “Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia”, Piccola Biblioteca Einaudi, 1967
  • D. Simeone “La consulenza educativa”, Vita e Pensiero, pubblicazione dell’università Cattolica del Sacro Cuore, 2002.
  • H. Segrada “ Metodo ACA, ascolto, comunicazione, azione”, Carabà Edizioni, 2016.
  • H. Segrada “Impronte di storia della pedagogia dal settecento ad oggi. Una visione alternativa con riflessioni e prospettive future”, Macchione, 2022.

 

Haidi Segrada

Esperta in glottodidattica infantile, counselor pedagogico e formatrice. Si occupa della supervisione pedagogica in diverse scuole e strutture educative, sia pubbliche che private. Autrice di testi psicopedagogici, didattici e poesie. Progettista certificata AIF, membro del Consiglio direttivo AIF Lombardia. E` ideatrice del Marchio registrato “A.C.A” – Metodo educativo – pedagogico e didattico. 

E-mail: h.segrada@libero.it

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