Dario Forti ricorda Sergio Di Giorgi
Di chi conservo ricordi vivi e persistenti tra i tanti colleghi che ho conosciuto in più di quarant’anni di frequentazione, più o meno costante e più o meno attiva, all’interno dell’Associazione Italiana Formatori? Senz’altro di alcuni presidenti storici, cui mi hanno legato collaborazioni e impegni cui rispondere; innanzitutto i due presidenti “pirelliani”, l’Ennio Baldini dei mitici azzurrini Quaderni Pirelli, e il Pier Luigi Amietta che gli è succeduto sia in azienda sia nella presidenza associativa e al quale si deve l’invenzione di FOR e della longeva collana editoriale Aif. Poi c’è Massimo Bruscaglioni, presidente sì, ma soprattutto modello professionale (certo, da adottare con cautela) su come stare in aula, al pari del mio principale mentore, Pino Varchetta che non volle mai ricoprire il ruolo di presidente. Ricordo che, in una sera di qualche anno fa, li ho riuniti, questi due miei maestri, in Casa della Psicologia, per farli confrontare sui rispettivi, distintivi, modi di considerare e utilizzare l’aula e l’inconscio gruppale che si produce in aula. Di altri ancora ho ricordi meno nitidi e netti. Impossibile non ricordare Mimmo De Masi, di cui ho ammirato vitalità e ampiezza della visione, pur non apprezzando particolarmente la trasformazione grandiosa cui sottopose la nostra rivista, fino ad allora (e poi in seguito) di sobria milanesità.
Ma se quest’oggi devo proprio aprire le stanze della memoria e, con esse, i ricordi più densi di emozioni, non posso non riandare alle iniziative che ho vissuto insieme ad un piccolo gruppo di colleghi/amici, intorno all’uso del cinema nella formazione. Con quella che, ad un certo momento, è diventata una piccola compagnia di giro, quasi una banda di incursori della formazione – Sergio Di Giorgi, Dario D’Incerti, quasi sempre anche Fulvio Carmagnola, sotto l’ala protettiva di Varchetta – per alcuni anni, soprattutto quelli che vanno dal 2002 al 2005, abbiamo dato vita a tantissimi incontri e workshop, prevalentemente a Milano, ma anche a Roma (grazie all’iniziativa di Paolo Viel). Sempre con loro, poi, abbiamo pensato e animato Il mondo, che sta nel cinema, che sta nel mondo, il megaconvegno organizzato da Fulvio in Bicocca, cui parteciparono centinaia di studenti di Scienze della Formazione e praticamente l’intero gotha degli studiosi di cinema.
Per tutte le giornate del convegno, Sergio, Dario ed io ci aggirammo nell’aula magna dell’Università con la consapevolezza di essere degli abusivi, se non addirittura dei presuntuosi apprendisti stregoni, sfacciati nel ribattere alle critiche che ci rivolgevano le vestali del cinema e della sacralità dei film che, ci rimproveravano, “dovevano essere visti per intero” e non spezzettati e manipolati nei nostri blob didattici. Alla sera, poi, allo Spazio Oberdan, allora uno dei templi del cinema di autore, organizzammo una quasi-prima del meraviglioso Buongiorno, notte, cercando, con scarsi risultati, di interessare Marco Bellocchio alla funzione educativa dei film.
Di quel convegno il ricordo più bello, comunque, è quello del laboratorio condotto insieme a Sergio, in cui, non ricordo più con quale obiettivo, proponemmo l’episodio iniziale di Smoke, quello in cui il tabaccaio Harvey Keitel mostra allo scrittore in crisi William Hurt gli album delle foto da lui scattate ogni giorno, per anni, alle 8 in punto, all’angolo di una strada di Brooklyn. Fino al momento in cui Keitel, come farebbe un formatore in aula, si rivolge allo scrittore depresso: “Non capirai mai se non vai più piano, amico mio”, “Più piano, eh?”, “È quello che consiglio”, per consentirgli di riconoscere, in uno degli infiniti scatti presi lì davanti alla tabaccheria, la moglie mancata da poco: “È Hellen!”, “Sì, è Hellen”, “Hellen, il mio amore adorato”.
Mi torna in mente la mia commozione di allora che, per la verità, è l’effetto che mi suscita il film ogni volta che lo rivedo. Emozione che, mentre sto scrivendo, a pochi giorni dalla notizia, ahimè attesa, ma comunque ingiusta e ingiustificabile, della morte di Sergio, mi si riaccende pensando alla sua Brooklyn, il luogo in cui è nato e ha vissuto per i primi anni della sua vita, prima di emigrare in Italia con i genitori siciliani, a Palermo, per poi trasferirsi a Milano dove ci siamo conosciuti.
Emozione che si ravviva al solo ricordo di come Sergio pronunciava “New York”, accendendo all’istante l’immenso patrimonio onirico che ogni cinephile associa alla città simbolo dell’immaginario cinematografico contemporaneo, da Scorsese ad Allen (eguagliata forse solo dalla Parigi di Godard e di Truffault).
Che dire ancora di Sergio Di Giorgi? Che quando ci siamo conosciuti era consigliere Aif della Lombardia e che, avvalendosi del limitato potere che gli dava la carica associativa, aveva saputo promuovere gran parte delle iniziative sulla formazione e il cinema cui facevo riferimento in apertura.
Persona elegante, dotata di grande versatilità e brillantezza intellettuale, Sergio ha coltivato interessi che andavano dalla comunicazione all’interculturalità, dalla progettazione formativa alla critica cinematografica. Ha collaborato con riviste specializzate di cinema e curato sezioni nelle rassegne cinematografiche, tra cui il Festival internazionale “Sguardi altrove Film Festival” di Milano, cui era particolarmente affezionato. Con noi, in Aif, è stato la colonna del progetto del ForFilmFest, realizzato insieme alla Cineteca di Bologna nella splendida sede che l’architetto Aldo Rossi aveva ricavato dal vecchio macello. Del ForFilmFest Sergio, insieme a D’Incerti, è stato l’anima, sia nella selezione dei film sul tema monografico che abbiamo individuato in ognuna delle sei edizioni che si sono succedute dal 2007 al 2012, sia nella progettazione dei dispositivi di lavoro, dai laboratori di progettazione didattica al concorso – “The Training Show” – nel quale i colleghi presentavano propri prodotti formativi, dagli incontri con i registi – il più clamoroso e fortunato fu quello con il grande Mike Leigh, a Bologna in quei giorni – alle première dei film che, come AIF per diversi anni abbiamo selezionato e premiato alla Mostra del Cinema di Venezia in quanto opere d’interesse della formazione…
Esperienza che si è conclusa, un po’ amaramente, per la perdita di attenzione che l’associazione ha avuto nei confronti del tema cinema (il tentativo, fatto alcuni anni più tardi, di rianimare il ForFilmFest non ha avuto grande successo).
Molto piacevole è stata, invece, la realizzazione, condotta a quattro mani con Sergio, di Formare con il cinema. Questioni di teoria e di metodo, il libro che raccoglie il senso e il valore dell’esperienza del ForFilmFest. Così come la presentazione del volume che facemmo a Mestre, ospiti dei colleghi di Aif Veneto.
Dopo di allora le nostre vite si sono un po’ allontanate. Per qualche anno, io e lui abbiamo dato vita, con insistita passione politica, ad una contesa sul valore o meno di talune esperienze che in quegli anni sollecitavano e dividevano i nostri rispettivi punti di vista.
L’ultima occasione di incontro, nell’anno del Covid, fu la bella serata in cui Dario D’Incerti chiese a Sergio di animare un webinar sulla presenza di New York nel cinema. Un incontro purtroppo mediato dalla piattaforma e dal mezzo cinematografico, un mezzo che, come le foto di Smoke, pur tenendo a distanza i corpi, avvicina tuttavia affetti e nostalgie.
Come diceva l’amato Gianni Brera, che ti sia lieve la terra, carissimo Sergio.
Dario Forti
Psicologo, psicosocioanalista, formatore, consulente al ruolo e di sviluppo organizzativo; fondatore e per due volte presidente di Ariele, Associazione Italiana di Psicosocioanalisi; amministratore della società di consulenza Skolé Srl; fondatore e membro del consiglio di amministrazione di Faber Srl Società Benefit.
E-mail: dariosilvanoforti@gmail.com