Il cinema, la privacy, e le vite degli altri
“Ho proposto alla redazione di Learning News di ripubblicare un articolo di Sergio Di Giorgi per ricordarlo. In questo scritto, estratto dal numero di dicembre 2013, ho ritrovato molto di lui. In primo luogo la passione civile, l’attenzione per i diritti, la giustizia, la libertà con cui si era confrontato nei suoi anni palermitani e che non ha mai dimenticato.
Poi il gusto della citazione, la ricerca di riferimenti e connessioni, sempre per approfondire il pensiero e dare spunti critici, per poter discutere, scoprire e aprire il discorso. E una certa diffidenza per la tecnologia, un po’ sorniona e un po’ di facciata, così che ci si potesse rimproverare a vicenda di avere atteggiamenti da raffinato intellettuale della Magna Grecia piuttosto che da silenzioso rigoroso sabaudo. Così successe quando dovevamo tenere un seminario e non avevamo avuto modo di coordinarci abbastanza, ci sentimmo che ero già in treno per raggiungerlo e gli proposi di lavorare a distanza sulla mappa mentale che avevo preparato e così facemmo (a proposito, penso a Sergio ogni volta che uso il passato remoto…). Ricordo la sua sorpresa e l’entusiasmo quando vide che quel che spostavo e scrivevo appariva anche sul suo schermo, a chilometri di distanza. “Mi piace questo modo di lavorare insieme e visualizzare le cose, magari è la volta buona che mantengo il controllo, la smetto di divagare sempre e aprire parentesi…”. No, Sergio, va bene così, continua a divagare, continua a lasciare parentesi aperte, non preoccuparti”.
Vittorio Canavese
Di come da gran pezza, almeno dal secolo XVI, si paventi che, nell’emisfero terracqueo occidentale, i tiranni detengano il potere in quanto sono gli stessi sudditi a concederglielo.
Hans Magnus Enzensberger, classe 1929, è un eclettico scrittore, poeta e saggista tedesco, noto per la verve provocatoria, spesso intrisa di sarcasmo (non a caso fu citato da Moretti in Caro diario, 1993, episodio Isole, come esempio di intellettuale fiero oppositore della televisione). Di recente – e comunque molti mesi prima dello scoppio, nell’estate 2013, dello scandalo Datagate – ha scritto un articolo un po’ inquietante (sin dal suo titolo, “Sorvegliati e contenti”) [1]“Sorvegliati e contenti”, “La Repubblica”, 8 aprile 2012. Il titolo richiama, ovviamente, il celebre saggio del filosofo e storico francese Michel Focault Sorvegliare e punire: la nascita … Continue reading). Vi si affrontano temi apparentemente diversi, ma in realtà collegati. In primo luogo quello della pervasività della sorveglianza tecnologica nel mondo contemporaneo e della crescente dipendenza del potere politico ed economico mondiale dalle Big Four (Google, Microsoft, Apple, Amazon); ma anche il ruolo dei “social network”, il tramonto dell’era del “copyright” e il contestuale trionfo di un mondo “wiki” (mondo che però, suggerisce l’Autore, al di là delle apparenze non è poi per davvero un “free world”, nella duplice accezione di libero e gratuito, come già, e per altri aspetti, ci aveva spiegato il regista inglese Ken Loach nel suo bel film del 2007, It’s a free world) [2]Nella versione italiana In questo mondo libero, regia di Ken Loach, GB, 2007.
Prendendo spunto dagli esiti delle apocalittiche previsioni formulate (nel 1948) nel celeberrimo romanzo 1984, Enzensberger constata come Eric Arthur Blair (il vero nome del grande scrittore e attivista George Orwell) “…non avrebbe immaginato neppure in sogno che per ottenere almeno in parte quel risultato (ovvero un sistema di controllo e sorveglianza a 360° da parte del Potere, ndr) “non c’era bisogno di una dittatura. Si poteva raggiungerlo anche all’interno di un sistema democratico, senza l’uso della violenza, con metodi civili, persino pacifici”. La questione era peraltro già stata oggetto di riflessione almeno quattro secoli prima: Enzensberger cita infatti l’illustre precedente del pamphlet – rimasto a lungo clandestino – del giurista, storico e filosofo francese Etienne de la Boétie (amico ed ispiratore di Montaigne), quel “Discorso sulla servitù volontaria” scritto a metà del ‘500, in cui si sostiene e argomenta come i tiranni detengono il potere in quanto sono gli stessi sudditi a concederglielo. In questi ultimi decenni, dobbiamo ammetterlo, ciò si è rivelato sempre più vero, anche perché i “nuovi tiranni” – ovvero leader e supermanager che operano in regimi formalmente democratici e liberali – hanno subdolamente cambiato e cambiano di continuo abito, fisionomia, strumenti di persuasione e comunicazione (al riguardo, suggeriamo una lettura assai illuminante: la raccolta di saggi politici – che coprono un vasto arco di oltre mezzo secolo, dal 1958 al 2012 – di John Berger, romanziere, drammaturgo, critico d’arte)[3]John Berger, Contro i nuovi tiranni, (a cura di Maria Nadotti), Neri Pozza, 2013.
Di questi rischi, ogni cittadino adulto del cosiddetto “mondo libero” occidentale dovrebbe avere piena consapevolezza ed è pur vero che infondere tale consapevolezza nei governati dovrebbe essere uno dei principali compiti dei governanti. Anch’essi però sono spesso spiati “a loro insaputa”, e, così, governanti e governati si ritrovano periodicamente accomunati a ostentare vero o finto stupore (e sdegno), come appunto nei mesi scorsi di fronte al Datagate e al ruolo della NSA- National Security Agency statunitense. Come si sa, non è certo la prima volta che casi simili avvengono su scala mondiale (ricordiamo negli anni ’90 il caso Echelon). Ma oggi la profondità e l’ampiezza dei processi di spionaggio e sorveglianza hanno assunto dimensioni talmente globali che sono sotto gli occhi di tutti i limiti posti alla sovranità nazionale, le sfide alla democrazia, le violazioni dei diritti [4]Si vedano al riguardo le recenti riflessioni di Stefano Rodotà, “Datagate: i colpevoli sono due”, “ La Repubblica 26 ottobre 2013..
Ma è solo scendendo da un piano sistemico al livello del nostro quotidiano che possiamo -forse- notare la concretezza e l’invadenza dei meccanismi e degli strumenti di controllo, sia sul piano fisico che, soprattutto, psichico. Perché, se pure le tecnologie sono sempre più invisibili e dunque incontrollabili, non possiamo non assistere alla proliferazione ed accumulazione impetuosa (e altrettanto incontrollabile) di sempre nuovi dispositivi [5]Sulla nozione di “dispositivo”, con riferimento sia ai tradizionali dispositivi socio-politici (dalle prigioni studiate da Foucault ai tribunali ma anche alla penna, la scrittura, la letteratura, … Continue reading che già scandiscono e modellano i nostri tempi e le nostre abitudini Tra questi, vi sono quei tanti oggetti di uso comune che sempre più diventeranno smart – ovvero dotati di sensori collegati tra di loro e alla rete; mentre i dispositivi correnti (gli smartphone e i tablet che via via soppianteranno i nostri tradizionali cellulari e pc), già prevedono (quasi) sempre – tramite le loro applicazioni ed estensioni “social” – la cessione di una quota più o meno grande della nostra privacy [6]Di come i dati –sia pubblici che privati- siano oggi tra le merci più ambite e preziose e di come nessuna legge possa oggi sostanzialmente difendere la nostra privacy dal’attacco concentrico del … Continue reading. Questo avviene sempre più spesso volontariamente, come quando permettiamo, a volte dietro compenso, alle aziende di cui utilizziamo i servizi di sapere dove siamo e cosa facciamo (oggi, ad esempio, attraverso i programmi di geo-localizzazione dei cellulari [7]Secondo le inchieste della stampa americana, la NSA intercetta i dati di geolocalizzazione di cinque miliardi di telefoni portatili nel mondo., domani mentre passeggeremo indossando gli speciali occhiali di Google) o quante volte al giorno ci laviamo i denti (con gli spazzolini smart di nuova generazione). La strada delle “servitù volontarie” già intravista secoli fa da La Boétie è un rettilineo veloce: “la possibilità di inserire un sensore e un collegamento internet in qualunque cosa, compreso il corpo umano, consente di mercificare tutto e di attribuire un prezzo alle informazioni che se ne ricavano…permettendo ai cittadini di monetizzare l’autosorveglianza” (corsivo nostro)[8]Si veda sempre, e diffusamente, il saggio di Morazov, cit..
Per converso, e con paradosso solo apparente, proprio il caso delle rivelazioni propiziate dall’ex informatico della CIA Edward Snowden (come del resto, a far tempo dal 2006, tutto il lavoro svolto dall’organizzazione Wikileaks) dimostra l’importanza che la rete ha assunto e può giocare rispetto agli equilibri politici e sociali a livello locale e planetario. Come ha osservato Roberto Saviano: “Il caso Edward Snowden dimostra che le democrazie sono cambiate per sempre. La rete ha modificato il lavoro di intelligence che sino ad ora aveva caratterizzato i servizi segreti del pianeta. Ha sottratto le informazioni dalla disponibilità di pochi e le ha messe potenzialmente (corsivo nostro) nella disponibilità di tutti”[9]Roberto Saviano, “Effetto Snowden, un mondo senza segreti “, La Repubblica, 3 luglio 2013 .
I temi evocati dall’articolo di Enzensberger e dagli altri autori sin qui citati toccano dunque le questioni cruciali della democrazia, ma anche delle dinamiche sociali: il rapporto -al bivio tra verità (segreti) e bugie – tra Potere e cittadini (o sudditi); la relazione tra realtà e mondo virtuale; gli effetti sui modi di comunicare e di intendere i confini tra le nostre sfere pubbliche e quelle private indotti dagli sviluppi tecnologici ma anche dalle pressioni e dipendenze di natura “consumistica”; e infine, come tutto questo si declini in maniera assai diversa nei regimi formalmente democratici o in quelli autoritari/totalitari[10]Come ricorda Evgeny Morozov, i big data che potrebbero aiutare a scovare terroristi prima che compiano attentati possono essere utilizzati da Cina, Russia, Kazakistan, Iran, ecc. per catturare in … Continue reading .
Personalmente riteniamo che questi temi dovrebbero essere ben conosciuti e presidiati dai formatori e dagli educatori: una delle sfide più alte e difficili per queste professioni appare oggi chiaramente quella di saper formare ed orientare all’uso consapevole delle tecnologie [11]Si veda al riguardo il saggio di Francesco Varanini, “La memoria digitale e la memoria del cinema” in Formare con il cinema. Questioni di teoria e di metodo (a cura di Sergio Di Giorgi e Dario … Continue reading.
Il cinema e la privacy
Il cinema – specie quello cosiddetto indipendente- ha affrontato tante volte, e anche in tempi recenti, i temi degli attentati alla privacy degli individui e delle comunità. Lo ha fatto attraverso differenti “generi” (dalla fantascienza alla commedia romantica) e forme (dalla fiction al cinema documentario, sebbene, come è noto, questa distinzione oggi abbia sempre meno significato).
Vogliamo ricordare qua ai formatori tre film[12]I DVD de Le vite degli altri e Nella casa sono facilmente reperibili nei normali circuiti commerciali; il DVD de Il castello è reperibile tramite la Lab 80 Film (www.lab80.it) che lo distribuisce. – uno dei 3 è appunto un documentario – che su questi argomenti possono offrire, oltre a uno sguardo stilisticamente pregevole, illuminanti spunti di riflessione.
Le vite degli altri
(Das Leben der Anderen) – Regia: Florian Henckel von Donnersmarck Germania 2006, 137’
Un esordio folgorante e pluripremiato. Uno dei migliori film di questo inizio secolo e millennio (cui purtroppo il regista ha fatto seguire sinora solo il deludente The Tourist, 2010). Con Le vite degli altri, diretto a soli 33 anni, von Donnersmarck racconta con grande maturità narrativa ed espressiva la tragica epopea – praticamente un trattato visuale delle più cupe profezie orwelliane- della famigerata STASI, il Ministero per la Sicurezza della ex DDR, la Germania dell’Est. Alla caduta del Muro la STASI contavano 13.000 ufficiali-funzionari, 100.000 impiegati a tempo pieno e circa 200.000 “informatori”. Poco prima del crollo del regime, i suoi funzionari tentarono di distruggere 33 milioni di pagine di documenti incriminanti. Ma il film ci ricorda – ed è questo forse l’aspetto più inquietante – che dopo la riunificazione solo il 10% dei cittadini chiese di accedere ai fascicoli personali: tutti gli altri preferirono non sapere, per paura o rimozione.
Un cast di prim’ordine incarna alla perfezione il groviglio psicologico che lega le vite dei controllati e dei controllori. Su tutti spicca l’algida figura dello zelante capitano Wiesler, il funzionario-spia attorno al quale ruota una vicenda dagli esiti sino alla fine imprevedibili. Tra le tante cose indimenticabili del film, l’armamentario – elettrico, ferroso, analogico – a disposizione di Wiesler e dei suoi collaboratori (fili, cuffie, nastri magnetici e tanti fogli di carta su cui trascrivere minuziosamente le intercettazioni telefoniche). Il Datagate era di là da venire…e quella vicinanza (fisica) alle (vere e piene) vite degli altri è in fondo la chiave che consente a Wiesler di ribaltare la prospettiva fissa del suo ruolo di burocrate oppressore e di rischiare, anche la vita, per un sia pur tardivo riscatto e cambiamento.
Il Castello
Regia, sceneggiatura, montaggio: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti – Documentario, Italia, 2011, 90’
Come già per altri lavori precedenti e per il più recente Materia oscura (2013), Massimo D’Anolfi e Martina Parenti “si danno tempo”, perché sanno che in questo sta uno dei segreti del mestiere di un vero ed eticamente consapevole documentarista [13]Per approfondire la filmografia (sino al 2011) e la poetica dei due autori, anche in rapporto ad specifici aspetti formativi, si rimanda all’intervista curata da Sergio Di Giorgi e da Vittorio … Continue reading.
Per un anno intero hanno piazzato la videocamera all’interno dell’hub intercontinentale di Malpensa, quello che i sociologi direbbero un “non luogo”, ma che per la coppia di registi è un luogo tanto reale quanto emblematico dell’“ossessione securitaria” nel mondo occidentale: avamposto di confine (tra un supposto ordine interno e il caos esterno) dove si dispiega la risposta del potere ufficiale alle paure post-11 settembre. Malpensa come incrocio strategico per tutti gli agenti istituzionali e non (dai servizi segreti italiani e stranieri alle guardie giurate e ai cani anti droga) preposti alla sicurezza e dunque al controllo – controllo in primo luogo visivo – su cui la prima si basa. I due registi ci accompagnano, invitandoci spesso a cambiare punto di vista e regalandoci anche il loro sguardo in soggettiva, in un viaggio scomodo, a tratti disturbante, ma non privo di ironia, sotto l’occhio sempre acceso di innumerevoli telecamere e lo sguardo statico e minaccioso della torre di controllo, moderno “Panopticon” [14]Ideato alla fine del ‘700 dal filosofo sociale inglese Jeremy Bentham, è il modello di edificio a struttura circolare (applicato da allora soprattutto alle moderne prigioni) che consente ai … Continue reading . Il “set Malpensa” si rivela un concentrato poliziesco e penitenziario, una claustrofobica trappola tecnologica che lega indissolubilmente, spesso nello stesso quadro, chi osserva e chi è osservato, controllori e controllati. Perché, come nel modello di Bentham, nello scenario contemporaneo affollato da una selva di schermi, display, lenti, mirini è proprio lo sguardo dei “controllati” (per lo più mosso da pulsioni narcisistiche) a rafforzare l’obbedienza sociale e alimentare la pervasività del controllo stesso.
Nella casa (Dans la maison)
Regia: François Ozon Francia, 2012, 105’
L’altra e opposta faccia del controllo globale è forse il voyeurismo condominiale (anch’esso al cinema vanta numerosi esempi, dal thriller al melodramma, e alcuni capolavori, si pensi solo a La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, Rear Window, 1954). Spiare, dalle finestre o dal buco della serratura, è in fondo scegliere di vivere le vite degli altri a costo di dimenticare, o perdere di vista, o abdicare alla propria. Una patologia moderna, anzi post-moderna, che gonfia le parcelle degli psicoterapeuti e che ci appare speculare ai piccoli narcisismi di massa che invadono i social media e network. Certo, è spesso sottile il discrimine tra nevrosi e dipendenza e quella sana e consapevole curiosità che ci spinge agli altri e alle loro storie, che ci preserva dall’auto-isolamento, che nei casi più alti ci porta ad aprirci al dono e all’aiuto disinteressato dell’altro. Spesso i ruoli sociali e i rapporti asimmetrici ad essi sottesi rendono tutto più precario, ipocrita a volte.
Ad esempio, sappiamo quanto sia difficile un vero scambio di saperi – cognitivi e relazionali – tra docenti e discenti e come i primi debbano evitare le trappole dell’autorità senza abdicare all’autorevolezza, e gli effetti Pigmalione o “apprendista stregone” ecc. ecc. Ebbene, tra il professore di letteratura cinquantenne e scrittore mancato Germain (un come sempre strepitoso Fabrice Luchini) e il suo alunno sedicenne Claude, il rapporto di sano aiuto e complicità dura davvero poco. Lo studente “ cattura” il professore con i suoi affascinanti racconti “seriali” -il minuzioso spionaggio di quanto avviene nella casa di un’altra sua vittima, un compagno di classe- e il tutto diviene un morboso gioco al massacro (a complicare il quadro anche la moglie del professore partecipa al gioco). Risultato (tra i tanti): anche quando sono al cinema i due coniugi non fanno altro che parlare dei racconti di Claude, dimentichi di quanto accade sullo schermo…
Di sicuro, siamo lontani dall’infernale scenario del “Teorema” pasoliniano evocato dal regista. Piuttosto, essendo in Francia, e assistendo alla bellissima sequenza finale – nella quale l’ormai ex professore ed ex marito e il suo ex diabolico allievo si ritrovano, insieme agli spettatori del film, su una panchina a fantasticare sui personaggi e i misteri della casa di fronte – ci viene da pensare a Georges Perec e al suo La vita: istruzioni per l’uso (1978). Ma purtroppo (o per fortuna) non c’è più spazio per le “liste” e le classificazioni di Perec. Della nostra vita abbiamo perso da tempo il manuale d’istruzione. Dobbiamo viverla ed accettarla così come è.
Sergio Di Giorgi
Formatore e consulente indipendente. Critico cinematografico freelance. Ha curato (con Dario Forti) il volume Formare con il cinema. Questioni di teoria e di metodo, Franco Angeli (collana AIF), 2012, pp. 316
Riferimenti
↑1 | “Sorvegliati e contenti”, “La Repubblica”, 8 aprile 2012. Il titolo richiama, ovviamente, il celebre saggio del filosofo e storico francese Michel Focault Sorvegliare e punire: la nascita della prigione, 1975 (prima edizione italiana Einaudi, 1976 |
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↑2 | Nella versione italiana In questo mondo libero, regia di Ken Loach, GB, 2007 |
↑3 | John Berger, Contro i nuovi tiranni, (a cura di Maria Nadotti), Neri Pozza, 2013 |
↑4 | Si vedano al riguardo le recenti riflessioni di Stefano Rodotà, “Datagate: i colpevoli sono due”, “ La Repubblica 26 ottobre 2013. |
↑5 | Sulla nozione di “dispositivo”, con riferimento sia ai tradizionali dispositivi socio-politici (dalle prigioni studiate da Foucault ai tribunali ma anche alla penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia, l’agricoltura, ecc.ecc. e infine al linguaggio stesso che forse è il più antico dei dispositivi) che a quelli della contemporaneità, si rimanda a Giorgio Agamben, Cosa è un dispositivo?, Roma, Edizioni Nottetempo, 2006. |
↑6 | Di come i dati –sia pubblici che privati- siano oggi tra le merci più ambite e preziose e di come nessuna legge possa oggi sostanzialmente difendere la nostra privacy dal’attacco concentrico del potere economico e politico parla “Il mercato della privacy” apparso sulla rivista “Internazionale”, 6 settembre 2013. Si tratta di un documentato saggio di Evgeny Morozov, un intellettuale bielorusso, esperto di tecnologie, che vive negli USA. Morozov è autore di opere tradotte anche in italiano come L’ingenuità della rete (Codice, 2011) e Contra Steve Jobs (Codice, 2012). |
↑7 | Secondo le inchieste della stampa americana, la NSA intercetta i dati di geolocalizzazione di cinque miliardi di telefoni portatili nel mondo. |
↑8 | Si veda sempre, e diffusamente, il saggio di Morazov, cit. |
↑9 | Roberto Saviano, “Effetto Snowden, un mondo senza segreti “, La Repubblica, 3 luglio 2013 |
↑10 | Come ricorda Evgeny Morozov, i big data che potrebbero aiutare a scovare terroristi prima che compiano attentati possono essere utilizzati da Cina, Russia, Kazakistan, Iran, ecc. per catturare in anticipo dissidenti e oppositori… |
↑11 | Si veda al riguardo il saggio di Francesco Varanini, “La memoria digitale e la memoria del cinema” in Formare con il cinema. Questioni di teoria e di metodo (a cura di Sergio Di Giorgi e Dario Forti), Franco Angeli (collana AIF), 2012. |
↑12 | I DVD de Le vite degli altri e Nella casa sono facilmente reperibili nei normali circuiti commerciali; il DVD de Il castello è reperibile tramite la Lab 80 Film (www.lab80.it) che lo distribuisce. |
↑13 | Per approfondire la filmografia (sino al 2011) e la poetica dei due autori, anche in rapporto ad specifici aspetti formativi, si rimanda all’intervista curata da Sergio Di Giorgi e da Vittorio Canavese, Imparare dai documentaristi: progettare in corso d’opera. Conversazione con Massimo D’Anolfi e Martina Parenti , FOR-Rivista per la Formazione, Franco Angeli, n, 91, gennaio/marzo 2012 |
↑14 | Ideato alla fine del ‘700 dal filosofo sociale inglese Jeremy Bentham, è il modello di edificio a struttura circolare (applicato da allora soprattutto alle moderne prigioni) che consente ai controllori di osservare contemporaneamente diverse persone, senza che queste ne siano consapevoli. |