
La scuola come luogo di formazione delle competenze relazionali
“Se sappiamo comprendere prima di condannare,
saremo sulla via dell’umanizzazione delle relazioni umane”.
(Morin E., 2001)
Le competenze sono entrate di diritto tra gli obiettivi formativi scolastici e correlativamente nella didattica, che ha ripensato se stessa nei contenuti e nella forma. Questa spinta innovativa fa sì che la scuola si ponga come luogo in cui coltivare il sapere, il saper fare e il saper essere, al fine di concorrere al pieno sviluppo della persona umana.
Il presente articolo propone uno spazio di riflessione sul ruolo della scuola nel processo di formazione delle competenze relazionali. Accogliendo il paradigma di complessità, si presume che la scuola non sia uno scenario nel quale le relazioni si dispiegano, ma un sistema complesso, in cui è possibile sviluppare un’attitudine relazionale e in cui le relazioni emergono [1]L’emergenza è una nuova qualità o proprietà di un sistema, frutto dell’organizzazione sistemica, non determinabile a priori rispetto alle singole componenti che lo costituiscono.. Le riflessioni seguono la linea teorica di importanti figure del nostro tempo, tese ad un rinnovamento pedagogico: Edgar Morin, Daniel Goleman e Peter Senge [2]Edgar Morin, sociologo e filosofo, ha dedicato gran parte della sua attività intellettuale al tema della complessità, Daniel Goleman, psicologo e scrittore, ha approfondito e divulgato gli studi … Continue reading.
Edgar Morin, promuove una riforma dell’insegnamento circolarmente pensata ad una riforma del pensiero, centrata sul valore dell’educazione, luogo potenziale dove formare teste ben fatte, capaci di vivere la complessità contemporanea attraversandola e sentendosene parte. Lancia una sfida di ordine epistemologico rievocando Michel de Montaigne: “È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena” [3]In francese “tête bien pleine”, espressione di Montaigne che si riferisce all’accumulazione acritica del sapere.(Morin 2000: p. 15). A tal fine, Morin suggerisce di impostare la struttura della conoscenza umana trasmessa, a livello inter e intra-generazionale, in autoreferenziali compartimenti disciplinari, esortando ad un’ apertura transdisciplinare perché le idee sono per natura libere e generative.
Ciò a cui la scuola dovrebbe puntare è insegnare l’organizzazione delle conoscenze attraverso la combinazione e ricombinazione di continui processi di interconnessione – separazione e di analisi – sintesi. La scuola, invece, tende a privilegiare solo la separazione e l’analisi, alimentando la trasmissione di un sapere parcellizzato e ostacolando la formazione di una conoscenza pertinente, capace di ordinare le informazioni in base ai contesti. Oltre a questo, dovrebbe stimolare la naturale curiosità, l’esercizio del dubbio, l’ars cogitandi (logica, deduzione, induzione), l’argomentazione, la métis (intelligenza pratica), la serendipità, tutti elementi che concorrono a sviluppare lo spirito di problematizzazione della realtà. Questa epistemologia della complessità è propedeutica alla sfida della testa ben fatta, capace di elaborare un pensiero complesso, in grado di capire la multidimensionalità dei fenomeni, di cogliere le relazioni di interdipendenza tra il livello locale e globale, di analizzare le realtà fenomeniche nel loro essere dialetticamente solidali e conflittuali, di preferire la dialogica alla logica e di valorizzare il diverso in quanto appartenente all’uno. Una testa ben fatta non si limita ad esaminare le dinamiche applicando il solo principio di causalità lineare, ma riconosce relazioni di causalità circolare, secondo cui gli effetti retroagiscono sulla causa. Fondamentalmente, il pensiero complesso si focalizza sulle relazioni piuttosto che sugli oggetti, seguendo la natura della mente umana che è di per sé relazionale.
Sviluppare un pensiero complesso giova notevolmente sul piano cognitivo e determina positive ricadute sul piano sociale. Prendere coscienza della “doppia condizione umana, naturale e meta-naturale” (Morin E., 2000, p. 33) è una delle finalità dell’insegnamento. L’essere umano va situato dentro la natura e parallelamente differenziato (ontologicamente) da essa in virtù della cultura, del pensiero e della coscienza.
Tutto questo richiede un passaggio metodologico che va dalla «spiegazione» alla «comprensione», che si esplicita in intellettuale e umana. La spiegazione fornisce una conoscenza descrittiva ed esplicativa dell’oggetto in quanto tale, risultando necessaria ma non sufficiente per intelligere la complessità. La comprensione intellettuale si distingue dall’ intelligibilità e dalla spiegazione perché si pone ad un livello più profondo, dal latino com-prehendere, comprendere significa apprendere insieme, “cogliere insieme (il testo e il suo contesto, le parti e il tutto, il molteplice e l’uno)” (Morin E., 2001, p. 98). Muovendosi nell’ambito interpersonale, la comprensione umana si pone ad un livello ancora più profondo rispetto a quella intellettuale. L’alter non è percepito solo come oggetto, ma come soggetto, si attiva pertanto un processo di identificazione e di proiezione tra un ego alter e un alter ego, possibile per via del riconoscimento della comune umanità.
Se agire la complessità significa relier [4]Dal francese: «collegare, connettere, unire»., allora bisogna prendersi cura delle relazioni umane e volgersi verso un’etica del genere umano che trova senso nella triade: individuo, società, specie.
Figura 1: Triade costitutiva del concetto di uomo.
Fonte: in Morin E., 1977, p. 17.
C’è, però, qualcosa che rompe l’idillio e che trasforma la comprensione in in-comprensione: l’equivoco, l’ignoranza, le diversità di vedute, l’indifferenza. Lo stato di incomprensione è sempre più crescente tra coppie, famiglie, cittadini, nazionalità. Gli sbarramenti sulla via della comprensione sono principalmente l’egocentrismo, l’etnocentrismo, il sociocentrismo e il riduzionismo ma, secondo Morin, il freno più pesante è dato dal circuito egocentrismo-autogiustificazione-autoinganno. La lotta contro l’odio e l’esclusione comincia dalla comprensione, da quando gli esseri umani sono pensati e sentiti come soggetti che vivono i nostri stessi meccanismi psichici e i medesimi problemi. In definitiva, per capire ed interiorizzare la comprensione, è necessario riformare le menti, il che richiede di riformare l’educazione.
A questo punto del ragionamento, sussiste un problema di ordine teoretico e pratico dovuto alla relazione causale, ologrammatica e ricorsiva, tra scuola e società [5]Rispettivamente significa che la società contiene in sé la scuola e che la scuola genera la società, la quale, a sua volta, è generatrice della scuola.: “non possiamo riformare l’istruzione senza avere prima riformato le menti, ma non possiamo riformare le menti se non abbiamo preventivamente riformato le istituzioni” (Morin E., 2000, p. 103). Morin risolve questa impossibilità logica seminando l’idea di una riforma dell’insegnamento a partire dai margini, ad opera di un piccolo nucleo di educatori mossi dalla fede nella loro missione educativa, elevata a compito di salute pubblica e animata dall’eros platonico, ovvero dalla passione per l’educazione e dal piacere di trasmettere. Eros, missione e fede sono i tre elementi di questo processo triadico, in cui ciascun elemento è necessario e interdipendente rispetto agli altri.
Figura 2: Circuito ricorsivo della triade Eros, missione, fede.
Fonte: in Morin E., 2000, p. 106.
Se Edgar Morin pone le basi epistemologiche per una riforma del pensiero, Daniel Goleman e Peter Senge propongono un nuovo modello educativo finalizzato a sviluppare la maturità interiore e la capacità di vivere nella società contemporanea, animata dall’incertezza e dal rischio. Illustrano il loro pensiero nel volume “A Scuola di solidarietà” e sintetizzano i risultati delle loro sperimentazioni in tre aree educative:
- Concentrarsi su sé stessi
Questo spazio educativo è riservato alla conoscenza e all’esplorazione della propria realtà interiore. Sviluppare l’autoconsapevolezza genera importanti ricadute sulla centratura di sé, sulla resilienza e sulla scoperta della propria motivazione intrinseca, più che di quella estrinseca, orienta le aspirazioni profonde e incide sull’entusiasmo di vita. In questa area, rientrano tutte le attività legate al controllo cognitivo, ossia alla capacità di direzionare i pensieri in funzione dello scopo.
- Sintonizzarsi sugli altri
Il periodo dell’infanzia segna profondamente l’imprinting sul piano emotivo e sociale. I processi educativi dovrebbero dare ampio spazio a questi orizzonti dell’essere, poiché incidono notevolmente sull’efficacia dell’apprendimento. Un ruolo centrale è affidato all’empatia che favorisce il passaggio dalla concentrazione su di sé alla sintonizzazione sull’altro. Si evidenziano tre livelli progressivi di empatia: cognitiva, emotiva, di preoccupazione empatica. Nel primo caso si tratta di “comprendere come gli altri vedono il mondo e cosa ne pensano” (Goleman D., Senge P., 2019, p. 29), nel secondo, si attiva più intimamente una risonanza emotiva, nel terzo scatta la preoccupazione che suscita un’azione di aiuto concreta. Alla scuola spetta il compito di proporre attività di cooperazione e di predisporre un clima di sicurezza, accudimento e supporto, basilare per favorire i processi di apprendimento. Insegnare la cura e la compassione, che dimorano a livello più intimo dell’animo umano, significa stimolare l’attivazione di un moto interiore che porta a farsi prossimo.
- Pensiero ed intelligenza sistemici
L’intelligenza è intrinsecamente sistemica e relazionale. Il primo passo per prenderne coscienza è recuperare l’ancestrale rapporto con l’ambiente, luogo in cui l’intelligenza umana si è evoluta, o meglio co-evoluta. Il pensiero sistemico si sviluppa osservando la realtà e le relazioni causali tra gli elementi che la costituiscono. Pensare la classe come un sistema di relazioni potrebbe avere interessanti risvolti sulla cura delle dinamiche relazionali, sulla prevenzione e sulla gestione di dinamiche disfunzionali, ostacolanti per un apprendimento significativo.
Per concludere, la riforma del pensiero auspicata da Morin e il rinnovamento pedagogico in chiave sistemica di Goleman e Senge sono finalizzati a sviluppare l’attitudine ad interconnettere e legare, un’attitudine altamente generativa sul piano esistenziale, etico e civico. Ad oggi, la scuola potrebbe promuovere la presa di coscienza che ogni essere umano è parte di una comunità di destino, un’unità antropologica che si esplicita nelle diversità individuali e culturali, in cui ciascuno può scoprire il valore della propria unicità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Bauman Z., La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999.
- Beck U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci Editore, Roma, 2000.
- Goleman D., Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1996.
- Goleman D., Senge P., A Scuola di futuro. Per un’educazione realmente moderna, BUR – Rizzoli, Milano, 2019.
- Morin E., Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, Milano, 1977.
- Morin E. (sous la direction de), Le défi du XXI siècle. Relier les connaissances, Éditions du Seuil, Paris, 1999.
- Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, San Giuliano Milanese, 2000.
- Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001.
- Morin E., Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015.
- Senge P. M., La quinta disciplina. L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1990.
- Siegel D. J., La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999.

Maria Dora D’Aloisio
Professionista esperta nel settore HR, formazione e orientamento con una forte attitudine all’apprendimento continuo. Attualmente lavora come insegnante nella scuola secondaria di secondo grado. Dal 2021 collabora con la Comunità di Pratica per la Scuola di AIF. Studiosa di complessità.
E-mail: mariadora.daloisio@gmail.com
Riferimenti
↑1 | L’emergenza è una nuova qualità o proprietà di un sistema, frutto dell’organizzazione sistemica, non determinabile a priori rispetto alle singole componenti che lo costituiscono. |
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↑2 | Edgar Morin, sociologo e filosofo, ha dedicato gran parte della sua attività intellettuale al tema della complessità, Daniel Goleman, psicologo e scrittore, ha approfondito e divulgato gli studi sull’intelligenza emotiva e Peter Senge, punto di riferimento del pensiero sistemico e dell’apprendimento organizzativo. |
↑3 | In francese “tête bien pleine”, espressione di Montaigne che si riferisce all’accumulazione acritica del sapere. |
↑4 | Dal francese: «collegare, connettere, unire». |
↑5 | Rispettivamente significa che la società contiene in sé la scuola e che la scuola genera la società, la quale, a sua volta, è generatrice della scuola. |