Il nuovo profilo del dirigente pubblico
Il 31 gennaio 2022 si è svolto a Messina il Convegno interregionale Sicilia-Calabria sul tema “La gestione del personale negli enti territoriali: la sfida e le opportunità del PNRR, l’esigenza di integrazione e semplificazione, la valorizzazione e il rafforzamento delle competenze” promosso dal Comune di Messina e patrocinato dalla CCIAA di Messina e dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria. In quell’occasione è stato molto apprezzato l’intervento della dott.ssa Elisabetta Cattini, che abbiamo intervistato per Learning News.
Domanda: Dottoressa Cattini, il contesto attuale sollecita la riflessione sulla necessità di aggiungere o rafforzare competenze nel management pubblico: capacità digitali che consentano di attivare nuove modalità di servizio, capacità di ascoltare Stakeholder e cittadini, di programmare con efficacia per raccogliere la sfida del PNRR, di organizzare le risorse umane con criteri compatibili con il lavoro da remoto. Può dirci il suo punto di vista, che nasce da un osservatorio privilegiato?
Risposta: In realtà, il “nuovo” profilo del dirigente pubblico è un tema da tempo trattato nelle aule universitarie, nella letteratura specializzata e nei lavori di chi si occupa di innovazione nella pubblica amministrazione. Al di là della specificità dei contesti della PA, che richiedono declinazioni e adattamenti appropriati, la rilettura del profilo del manager pubblico porta ad una più generale riflessione sulla forza identitaria e valoriale della PA, che rappresenta la cornice dentro la quale si può compiutamente affrontare la questione delle competenze.
D.: Quali sono a suo avviso gli aspetti che caratterizzano la P.A. dal punto di vista identitario e valoriale?
R.: In generale, la forza identitaria che oggi caratterizza la PA, sia a livello nazionale che locale, appare piuttosto debole. Lavoro da molto tempo con enti della PA e ho l’impressione che alla domanda “Perché io sono qui? Qual è la ragion d’essere dell’organizzazione cui appartengo?” spesso il dipendente pubblico non sappia rispondere con chiarezza e convinzione. Chi lavora in PA, dipendenti ma anche dirigenti, tende ad identificarsi con un mestiere, con una specifica area di competenze specialistiche ( l’Ingegnere capo, il Ragioniere …). E’ piuttosto raro trovare organizzazioni pubbliche in grado di esprimere in modo coerente e condiviso la propria identità rispetto ad un nucleo forte di valori e nelle quali quindi il senso di appartenenza alla PA e alla propria organizzazione sia un sentimento diffuso e rilevante.
D.: Quali sono i motivi di questa identità “debole”?
R.: La complessità e l’ampia gamma di servizi erogati e di attività gestite certo rende complesso sviluppare un senso unitario di appartenenza. Ma forse le ragioni sono da ricercare nel modello burocratico cui si ispira la PA, ancora influente nella realtà operativa della PA : un insieme organizzato e stabile di regole, norme e procedure formali, fondato su competenze specialistiche ed un’organizzazione gerarchica. L’influenza del modello burocratico comporta tendenzialmente uno sviluppo “verticale” e gerarchico dell’organizzazione e la valorizzazione di competenze specialistiche, a scapito di una visione trasversale orientata ai risultati complessivi. Gli stessi dipendenti pubblici riconoscono l’operare di questi elementi culturali nella propria struttura di appartenenza, utilizzando locuzioni come “compartimenti stagni” e “lavorare a canne d’organo” per segnalare ostacoli ad un più efficace ed efficiente presidio delle attività. Una frammentazione dell’organizzazione che si riscontra in effetti in ogni dimensione, dalla struttura della programmazione all’organizzazione formale descritta in organigrammi e job description, dalla mappatura dei processi alle modalità di selezione e formazione…
D.: Alla luce della sua esperienza, vi sono enti che hanno progettato e messo in atto percorsi di sviluppo e/o di formazione finalizzati ad un effettivo superamento del modello di organizzazione verticalizzata e settorializzata?
R.: A parte alcune interessanti esperienze, non conosco molti enti “virtuosi” in tal senso. La carenza dell’investimento formativo di questi anni, soprattutto sul management, non ha certamente favorito lo sviluppo di identità nella PA. La formazione si è configurata come un percorso a singhiozzi e frammentato, spesso avulso da una prospettiva strategica e incapace di favorire nelle persone l’acquisizione e la condivisione di “senso”. A mio avviso solo quando le persone si riconoscono in una cultura e in un sistema di valori condivisi e avvertono un vero senso di appartenenza, sono motivate e capaci di esprimere con generosità idee, energia, performance.
D.: Vi è in questi giorni un ampio dibattito sul Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO),previsto dal D.L. 80/2021. Uno degli aspetti più interessanti del PIAO è il collegamento tra valore pubblico e performance. Se non è adeguata l’identificazione delle persone nell’organizzazione, come è possibile per l’organizzazione attivare riflessioni e scelte in ordine al valore pubblico?
R.: Vedo molto difficile riflettere sul valore pubblico e definire cos’è valore per l’organizzazione, se le persone non hanno una visione chiara e condivisa delle finalità fondamentali e dello scopo dell’organizzazione stessa. E’ come se la parola “valore” acquistasse un duplice profilo: da un lato il valore pubblico (il sistema dei valori) come il cuore della cultura organizzativa, aggregante e motivante per i lavoratori, dall’altro il valore pubblico come generazione di impatto verso l’esterno, aggregante e motivante per cittadini e Stakeholder. Non è un gioco di parole, piuttosto due facce della stessa medaglia, che nella reciproca connessione trovano senso e danno forza e coerenza dell’azione amministrativa.
Se l’autoriconoscimento e la tensione allo scopo sono carenti, il rischio è che le riflessioni sul valore pubblico si traducano in mera applicazione meccanicistica di indicatori sempre più complicati e sempre più distanti dalla realtà.
Teniamo anche presente che oggi in molte organizzazioni pubbliche è evidente l’inadeguatezza dei modelli di leadership consolidati: molti dirigenti sono capi esperti e affidabili, possiedono pregiate conoscenze specialistiche, hanno capacità di analizzare le questioni e problem solving (tra l’altro ben evidenziate in molte esperienze durante il periodo di Covid). Molto più deboli però sono le loro capacità di “conduzione” del proprio gruppo e di orientamento degli altri (non solo altri colleghi, ma anche gli Stakeholder del territorio), caratteristiche che invece dovrebbero completare e caratterizzare la leadership vera e propria. In questo contesto, il manager pubblico non riesce ad esprimere una leadership capace di favorire l’orientamento del personale sulla base del riferimento comune a valori fondanti. Le implicazioni negative di questa situazione si vedono all’interno e all’esterno dell’organizzazione pubblica: limitata motivazione e conseguente scarsa propensione ad innovare da parte dei lavoratori, mentre da parte di cittadini e Stakeholder prevale la percezione dell’organizzazione “burocratica” conservativa e autoreferenziale e di dipendenti pubblici che non sanno innovare e non sanno mettere “a sistema” risposte adeguate e “smart”…
D.: L’attuale periodo di crisi, che acuisce i disagi dei lavoratori e dei cittadini, rende ancora più rilevante queste evidenze: un più marcato senso d’appartenenza aiuterebbe la coesione interna e sarebbe un elemento aggregante all’esterno. Cosa fare?
R.: Bisognerebbe costruire una strategia che favorisca ingaggio e partecipazione delle persone, a partire dalla condivisione di valori e di senso, un vero e proprio progetto in ogni amministrazione: definire gli elementi identitari e i valori dell’organizzazione, declinare un adeguato modello di leadership (che avrebbe funzione fondamentale di orientamento) e poi curare la comunicazione, sia all’interno che all’esterno, per consentire comprensione, ingaggio e partecipazione di tutti alla trasformazione in corso. E’ un processo che implica riflessioni critiche profonde del management pubblico e che richiede il coinvolgimento attivo sia di Amministratori che di Stakeholder: operazione certo non facile in entrambi i casi.
Proprio la riflessione sul Valore pubblico, che con il PIAO diviene un tema centrale nel dibattito sulla PA, potrà essere l’occasione per mettere a fuoco l’identità ed i valori di riferimento della propria cultura organizzativa, per condividerli e diffonderli.
D.: Progetti di questa dimensione strategica sono complessi e richiedono impulso del vertice ed elevato grado di coordinamento. Nelle imprese private, questa funzione di regia è spesso assolta dal Direttore delle Risorse Umane che, soprattutto in realtà strutturate e complesse, diventa il ruolo chiave dei processi di cambiamento organizzativo. E nelle pubbliche amministrazioni?
R.: La situazione della PA è più complessa. Spesso al vertice dell’organizzazione ci sono ruoli portatori di competenze prevalentemente amministrative, più che gestionali ed organizzative, difficilmente paragonabili ai ruoli di vertice delle imprese private. In particolare, il ruolo del direttore delle risorse umane esiste solo in enti pubblici di grandi dimensioni e spesso si tratta per lo più di figure centrate su aspetti normativi e giuslavoristici e sull’applicazione di istituti contrattuali. Lo sviluppo organizzativo è poco presidiato: l’evoluzione di strutture, di ruoli e di profili, i piani di sviluppo del personale, l’analisi dei bisogni formativi e i piani di formazione rappresentano spesso ambiti d’intervento non integrati tra di loro e gestiti con un’impostazione operativa e talvolta adempimentale.
D.: Alla luce del quadro sopra delineato e dell’auspicato percorso di “engagement” delle persone, che ruolo può assumere la funzione Risorse Umane nella P.A.?
R.: Il ruolo della funzione Risorse Umane e la sua capacità di posizionarsi in un perimetro strategico e di assumere il ruolo di agente del cambiamento possono essere condizioni di successo del processo di cambiamento della PA.
Si delinea, a mio avviso, un possibile percorso di trasformazione della funzione Risorse Umane della PA: da un lato un orientamento sempre più focalizzato sulle persone (risposta ai bisogni, crescita delle competenze, generazione di valore) e meno su strumenti e procedure che regolano la gestione delle risorse umane. Dall’altro, una visuale sempre più orientata al futuro (quali competenze e quali capacità saranno utili nel lungo periodo).
La prospettiva di un simile sviluppo renderà le funzioni risorse umane contemporaneamente attive sia nel presidio di aspetti normativi e complessi vincoli strutturali di vario genere, sia nel ruolo di guida di un innovativo e veloce processo di sviluppo organizzativo, in una situazione caratterizzata da paradossi e contraddizioni di non facile gestione. Sarà necessario ridisegnare la funzione ed il ruolo del direttore risorse umane, formarlo e in molti casi riuscire ad acquisire le competenze necessarie dal mercato del lavoro.
Antonella Marascia
Segretario generale della Città Metropolitana di Palermo, formatrice, autrice di articoli e pubblicazioni.
E-mail: antonellamarascia@gmail.com
Elisabetta Cattini
Consulente e Formatore per la PA relativamente a temi organizzativi, risorse umane, programmazione e controllo. Presidente/Componente OIV di Enti locali e P.A.
E-mail: cattinielisabetta@gmail.com