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Alcune riflessioni su un tema aperto: l’intelligenza artificiale nella formazione


A seguito di un mio intervento spontaneo, in cui ho semplicemente condiviso alcune considerazioni ed emozioni con un “gruppo di amici”, circa il tema dell’Intelligenza Artificiale nella formazione, mi è stato chiesto di scrivere un articolo. Non credo di avere competenze per scrivere un “articolo”, provo comunque a riportare per iscritto le riflessioni sull’IA che inquadro nel contesto del “cambiamento forte” che noi formatori stiamo vivendo da 4- 5 anni.



Certo, ogni cambiamento mette alla prova, in quanto costringe a uscire dalla “zona di confort”.
L’ultimo quinquennio è stato però una vera “centrifuga” per chi si occupa di formazione della PA.

Una prima scossa che ha fatto tremare le certezze sulla formazione dei funzionari pubblici è stata avvertita con l’inizio dell’ondata dei pensionamenti che ha fatto emergere l’esigenza di formare i nuovi assunti. E’ nato così quello che oggi è chiamato on-boarding”. Un tema di “routine” in qualunque organizzazione. Per quelle pubbliche è stato come dover ritrovare un vecchio libro posto in un baule e di cui non si ricordava nemmeno l’esistenza.
In continuità e in sovrapposizione è arrivata la pandemia.
E’ stato necessario fare un vero salto di paradigma.

Non è stato più possibile appigliarsi a “certezze” o “equilibri” conosciuti perché non funzionavano.

Per la formazione e per i formatori è stata una prova grandissima e, a mio avviso, amplificata per il formatore pubblico che era ben consapevole della tecnologia disponibile negli uffici pubblici e del difficile rapporto con la tecnologia del funzionario pubblico medio.

L’isolamento, il silenzio delle strade vuote, l’assenza di socialità generata dalla pandemia ha anestetizzato tutte le efficaci metodologie didattiche e le più classiche teorie pedagogiche a cui ci appoggiavamo noi formatori. Nonostante le resistenze iniziali e la diffidenza, che non nego essere stata molta per me, siamo riusciti a ripensare il modo di generare apprendimento in condizioni diverse e mai immaginate – interagendo attraverso un video e un microfono, “entrando” nelle case, cucine, camere, corridoi o giardini, con i bimbi, i gatti e i cani sullo sfondo. Questo “non confort” ci ha fatto conoscere un mondo prima inimmaginabile. Ci ha permesso di crescere, di creare nuove idee, di “rimetterci in moto” per generare innovazione.



Come formatrice oggi dico grazie a quell’esperienza perché mi ha dato modo di conoscere, scoprire e alla fine anche generare altre modalità nuove di “creare” formazione. Le opzioni di scelta che oggi ho a disposizione per sviluppare il processo formativo sono molto più ampie e differenziate. Ciò consente una maggiore personalizzazione, di differenziare le proposte in base agli “stili di apprendimento”, di utilizzare mix metodologici, garantire anche azioni più “sostenibili”.

A questo punto tutti pensavamo di esserci finalmente assicurati le nuove e care “certezze” che ci rendono la vita facile. Invece ecco che arriva un altro tzunami: AI- Artificial Intellingence!
Fino a pochi mesi fa, devo dire la verità, non pensavo nemmeno lontanamente dovermene occupare. I miei pensieri quando sentivo che se ne parlava erano: ”Sono cose relative ai dati, all’informatica, interessa chi si occupa di big data…non occorre nemmeno che perda tempo a capire cose così lontane dai miei interessi e che non mi serviranno mai”.



Poi arriva il giorno in cui mi rendo conto che AI è un mio “nuovo collega formatore”! 
Ennesima barriera mentale che si alza e vorrebbe allontanare il pensiero rassicurandomi che non sarà “affar mio”. Mi fermo un attimo e mi viene in mente una frase che lessi lungo una strada durante un viaggio all’estero: “There are no foreigners; only friends you ever meet before”.

Penso allora: “andiamo a scoprire chi è quel nuovo collega tanto temuto”. Meglio conoscere, parlare, discutere, piuttosto che fare finta che IA non ci sia e continuare a temerlo.

Scopro così che l’Intelligenza Artificiale può essere un’altra grande opportunità, che aumenta ulteriormente le opzioni di scelta e crescita nel mio lavoro. Ho scritto “può essere” e c’è un motivo.
Lo è se la saprò gestire, utilizzare e valutare. Se avrò consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti.



Le potenzialità: molte.

Consente di ridurre i tempi di elaborazione di “prodotti formativi” offrendo una pluralità di opzioni in risposta a una stessa esigenza.

Consente anche di avere accesso ad azioni formative che per le caratteristiche e gli obiettivi che si pongono hanno un’efficacia migliore di quanto non si avrebbe se fossero organizzate da un docente. 
Amplia la possibile accessibilità alla formazione personalizzata. 
E’ un amplificatore delle possibilità di scelta nella costruzione di “ambienti di apprendimento”. 
Introduco il concetto di ambiente di apprendimento perché questo tema è oggi ancor più emergente anche in relazione all’ingresso della AI nella formazione. 
Non si tratta di un concetto nuovo; nel 1916 Dewey lo definì come “quell’ambiente sociale nel quale le «tendenze» dell’educando sono accolte e «sostenute» grazie allo stabilirsi di «una connessione attiva tra il bambino e un adulto».

Certo qui il riferimento è la scuola, non la formazione per adulti. Ciò che personalmente, in quanto formatrice, rappresenta una guida in questo enunciato è l’importanza che viene data al “contesto” – oggi virtuale oltre che reale – e alle “tendenze” che sono le specificità del soggetto/soggetti che devono essere colte, capite, interpretate e sostenute attraverso l’instaurarsi di “connessioni attive”.


Mi chiedo allora: l’AI è capace di svolgere tale compito “in autonomia”? Di costruire ambienti formativi dove si tenga conto delle “tendenze” delle persone e si creino “connessioni”?. 
La rapida evoluzione che stanno avendo tecnologie come ChatGPT mi porterebbe a dire di si.

Nel momento in cui sarà perfezionata la capacità delle chatbox di riconoscere ed elaborare immagini, oltre che parole, sicuramente la capacità di analisi delle esigenze e di costruzione di “ambienti di apprendimento” basati sull’elaborazione automatica di dati non possiamo escludere sia utopia. 

Ci sono però ancora alcune questioni da dirimere che, almeno a oggi, rappresentano a mio avviso i limiti di AI:

  1. AI riuscirà ad elaborare tutte le infinite immagini connesse al linguaggio “non verbale” che rappresenta la maggior parte della comunicazione delle persone? Se penso al mio lavoro credo che questa capacità sia una delle componenti più importanti soprattutto nell’analisi del fabbisogno;
  2. AI è capace di proporre risposte diverse, molto specifiche e di riuscire a proporre delle validissime alternative in modo rapido nel momento in cui le condizioni cambino. Tutto questo però sempre che…quel cambiamento sia stato già previsto dall’algoritmo. Gli “imprevisti”, ciò che esce da quanto già codificato non trova risposta o trova delle alternative completamente errate, molto distanti dal quanto richiesto. Questo mi porta a una importante riflessione.



Per poterci confrontare e “gestire” il nuovo “formatore AI”, riconoscere e valorizzare le sue capacità, saperlo utilizzare per la costruzione degli “ambienti formativi” è necessario saper valutare. E’ questa allora la capacità che dovrà essere sviluppata maggiormente e per tutti. 

Alla luce di ciò penso dunque che le due fasi su cui il formatore, come me oggi, debba concentrarsi sono l’analisi del fabbisogno e la valutazione. Fasi che dovranno diventare sempre più “partecipate” da ogni attore coinvolto in un ambiente di apprendimento. E’ necessario che analizzare e valutare diventino competenze diffuse.



Un’ultima – e prometto ultima – considerazione desidero farla sul tema “dati” che sono alla base dell’esistenza dell’AI.

Gli attuali sistemi di AI propongono soluzioni, elaborano risposte, interloquiscono con noi sulla base di dati che per la maggior parte dei casi provengono da paesi extraeuropei. I motivi sono legati a due fattori:


  1. chi oggi ha sviluppato questi sistemi sono per lo più soggetti non europei e/o che utilizzano banche dati provenienti da paesi in cui è disponibile una quantità vasta di dati e possibilmente a basso costo;
  2. i dati disponibili in Europa sono pochi oltre che poco accessibili e ancora di meno in Italia, sia per il sistema normativo, sia perché se ci sono non sono utilizzabili in quanto raccolti in modo destrutturato e spesso informale. Quelli relativi al mondo della formazione sono praticamente assenti.



Si pongono quindi due riflessioni: quanto i dati oggi utilizzati da AI consentono di “cogliere una cultura, un non razionale che è proprio di un contesto che non li ha generati”? Le proposte elaborate sulla base di questi dati che non sono “completi, universali, colti in contesti culturalmente diversi”, sono in grado di orientare i comportamenti in modo neutrale?

Per concludere che cosa possiamo fare noi formatori?


  1. Conoscere il nuovo “collega”, parlarne, e confrontarci.;
  2. Porre il nostro focus sulla “valutazione” come parte integrante del “processo di apprendimento” che sia sempre più competenza diffusa e partecipata;
  3. Contribuire a diffondere e promuovere una cultura di raccolta dei dati della formazione e lo sviluppo, la diffusione e la condivisione di sistemi che consentano di farlo in modo strutturato e comparabile.

Milena Grion

Responsabile dell’Area “rapporti Istituzionali” e referente per lo sviluppo metodologico di ComPAcademy presso la Fondazione ComPA FVG di ANCI FVG.
Negli ultimi anni è coinvolta nello sviluppo di progetti formativi di sistema destinati al personale degli enti locali della regione Friuli Venezia Giulia.

E-mail: m.grion@compa.fvg.it

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