Il formatore territorialista – Parte 1
Premessa
Dalla fine degli anni ’90 in avanti molti sono stati i cambiamenti che hanno attraversato la Pubblica Amministrazione Locale e che, contestualmente, hanno riguardato il governo dei territori e lo sviluppo locale. Ciò ha sempre suggerito a quelli più attenti l’uso della formazione, così come essa viene prevista ogni qualvolta un’organizzazione ha ragione di avviare un processo di cambiamento. Purtroppo però non sempre questa necessità, così ovvia, è stata recepita da coloro che hanno legiferato per effettuare i cambiamenti ritenuti opportuni, dalle leggi Bassanini in avanti, e che hanno finanziato i progetti per realizzarli.
Ciò che vogliamo dimostrare in questo articolo è che il cambiamento viene gestito ancora oggi allo stesso modo, con leggi e finanziamenti, ma senza prevedere l’attivazione di processi di apprendimento per coloro che devono gestire i cambiamenti e per coloro che ci si aspetta che cambino, cioè le persone e le organizzazioni.
Vogliamo però evidenziare quanta e quale formazione sarebbe invece necessario mettere in campo, soprattutto se consideriamo i territori come delle “Organizzazioni Territoriali” circoscritte da un insieme di Comuni che delimitano un’area distintiva, caratterizzate da un certo tipo di management, un’articolazione organizzativa funzionale ed un organico ampio quanto sono i cittadini che vi vivono.
Questa visione ha l’intento di sostenere l’ipotesi che sia opportuno immaginare una figura nuova di formatore: “il formatore territorialista”, una persona capace di assecondare i processi di cambiamento che i Territori, in quanto neo Organizzazioni, devono perseguire, curandosi dell’apprendimento dei propri membri per il ruolo che rivestono nelle sotto-organizzazioni che il Territorio racchiude.
Alcuni cambiamenti sul piano dello sviluppo locale da usare come esempio
La legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta “legge Delrio”) ha ridefinito le funzioni fondamentali esercitate dalle Province. Esse ora sono:
- pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;
- pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali;
- programmazione provinciale della rete scolastica;
- raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
- gestione dell’edilizia scolastica;
- controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.
Da quanto sopra risulta evidente che la funzione relativa alla promozione e gestione del Turismo è scomparsa. Essa è stata momentaneamente assorbita dalle Regioni. La stessa Legge ha introdotto le Città Metropolitane e ha dato ad esse il ruolo delle Province creando una confusione di ruolo: il Sindaco del Comune capoluogo è, al contempo, anche il Sindaco della Città Metropolitana. Ad esempio, il Sindaco del Comune di Roma è anche il Sindaco della Città Metropolitana di Roma e deve così occuparsi non solo della gestione di una città grande e complessa come Roma, ma anche della gestione di funzioni importanti che riguardano tutti quei Comuni di cui prima si occupava il presidente della Provincia di Roma, ormai abolita. Ne consegue che i Comuni, in questo esempio dell’Aniene, confinano con i Comuni della provincia di Frosinone ma hanno riferimenti organizzativi e gestionali diversi.
Siccome però il Turismo è una risorsa importante per l’economia del Paese e per lo sviluppo dei territori, il problema che questa legge ha ingenerato va risolto. Adotteremo quindi l’esempio “Turismo” per dimostrare l’importanza di una nuova visione territoriale da sostenere con una nuova politica di formazione. Fino a quando il Turismo ha continuato a inondare le nostre città più famose come Roma, Firenze e Venezia, forse il problema non era preso in giusta considerazione.
Da qualche anno si sta però sviluppando un’altra tipologia di Turismo ovvero quello attento alla scoperta delle identità locali e delle tradizioni, della storia dei luoghi, dei paesaggi e delle bellezze di cui il nostro territorio è ricchissimo.
Sembra che di recente i tour operator siano sollecitati a trovare luoghi “selvaggi”, cioè non edulcorati o trasformati ma al loro stadio originale.
Il Turismo esperienziale è diventato sempre più importante. I Cammini lungo itinerari che possono essere di natura sportiva, religiosa, ambientale, manageriale, politica, si sono moltiplicati ed il numero dei “camminatori” è cresciuto di pari passo.
L’Europa, poi, vi ha aggiunto del suo, accreditando quelli che definisce “itinerari culturali europei”. Il Consiglio d’Europa ne ha accreditati già quarantanove con la finalità di aiutare l’integrazione tra i Paesi europei. Essi sono stati però utilizzati anche come strumenti di promozione turistica per i luoghi che gli itinerari attraversano o che i pianificatori territoriali fanno attraversare, anche per portare turismo nelle aree interne del Paese.
Per tutti questi motivi si è fatta strada l’idea che anche i Territori dovessero finalmente occuparsi di Turismo e gestire programmi che li renderanno capaci di regolarne il flusso e ottimizzarne l’accoglienza. L’intento è quello di consentire nuova occupazione proprio in quei luoghi da cui i giovani vanno scappando, lasciando gli anziani a custodire la tradizione, a cui comunque sono affezionati.
Alcune Regioni italiane hanno immaginato di trovare come soluzione quella di incentivare la costituzione di “Ambiti territoriali” e formule organizzative diverse che facessero comunque nascere “soggetti territoriali” che si assumessero la responsabilità di gestire il Turismo all’interno di quell’Ambito.
La Regione Toscana con la Legge regionale n° 24 del 18/05/2018 ha così definito 28 Ambiti territoriali omogenei come strumenti ottimali di organizzazione turistica e ha invitato i Comuni, in essi compresi, a stabilire una Convenzione tra loro e tra loro e la sua struttura centrale denominata: “Toscana Promozione Turistica”. Ha poi costituito un “Osservatorio Turistico di Destinazione e di Ambito” per controllare i flussi turistici e facilitare la presa di decisione da parte dei Comuni associati di Ambito.
La Regione Lazio, con la D.G.R. n° 836 del 17 novembre del 2020, ha invece preferito definire 9 Ambiti Territoriali ed una serie di cluster su cui puntare. Con un Avviso, pubblicato sul BUR del 12 febbraio 2021 n°13, ha dato corso ad un processo di autoformazione “dal basso” di Associazioni pubblico-privato che ha chiamato DMO (Destination Management Organization). Le condizioni che ha posto nell’Avviso è che le DMO fossero costituite all’interno di uno o più Ambiti e che puntassero a sviluppare il turismo con riferimento ad un certo numero di cluster, tra quelli generalmente definiti a livello regionale. Per assicurarsi poi che le DMO nascessero e si responsabilizzassero ha definito che vi fosse un cofinanziamento delle DMO per costituire il capitale sociale e compartecipare alla realizzazione delle attività di promozione turistica del territorio definito. La Regione ha richiesto, inoltre, che fosse selezionato per competenze un Destination Manager (DM) che avesse il compito di coinvolgere e coordinare gli attori locali coinvolti nel processo di promozione e comunicazione turistica e raccordarsi con le strutture regionali.
I due esempi servono solo per dimostrare che se il Turismo deve essere considerato una leva fondamentale di sviluppo del Paese, così come da più parti si afferma, le Regioni, con le loro decisioni organizzative, dimostrano di aver recepito il bisogno e di averlo tradotto in azioni che sollecitano il cambiamento anche se, purtroppo, in modo differente.
È inoltre evidente che la buona intenzione di abolire o limitare il ruolo delle Province (azione organizzativa) non è stata correlata alla necessità strategica di sviluppo economico del Paese. Ci sono voluti alcuni anni prima che si prendessero decisioni in merito alla gestione del Turismo a livello locale. Non ha certo favorito questo risultato il continuo cambiamento del rapporto tra il Settore Cultura ed il Settore Turismo, sia a livello nazionale che a livello regionale, e del rapporto tra essi ed il Settore delle infrastrutture.
Ancor di più stupisce il fatto che di fronte ad un cambiamento così significativo non si consideri la necessità di usare la Formazione come strumento per ottenerlo. Lo aveva già messo in luce lo studio su come era stato attivato il grande processo di decentramento amministrativo conseguente all’emissione delle Leggi Bassanini, alla fine degli anni ’90, ma i vent’anni passati non sono serviti a molto a questo riguardo.
In qualsiasi organizzazione che si rispetti i cambiamenti sono agiti usando la formazione e l’addestramento. In questo caso specifico, in cui i cambiamenti da perseguire sono numerosi e vanno sviluppati su piani diversi, sarebbe necessario un programma ampio e articolato che però nessuno concede e nessuno richiede.
Nel prossimo numero proveremo ad enumerare quali “bisogni formativi” dovrebbero esprimere gli Ambiti territoriali chiamati in causa se fossero considerati delle Organizzazioni.
Bibliografia
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Renato Di Gregorio
Ha maturato una lunga carriera dirigenziale in alcune importanti Aziende dell’IRI e dell’ENI (Siderurgia, Aerospazio e Chimica). Dal 1996 è Amministratore di Impresa Insieme S.r.l. e Presidente dell’Istituto di Ricerca sulla Formazione intervento, una metodologia che promuove sia come tecnica di apprendimento che come strumento per gestire progetti di sviluppo organizzativo. Da più di venti anni ha messo a punto il modello dell’Organizzazione Territoriale già adottato in diverse regioni italiane dalle Associazioni di Comuni che ha contribuito a costituire e che continua a seguire. E’ un membro, cooptato, del Direttivo della Delegazione AIF Lombardia.