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Come e perchè cambiano gli atteggiamenti

Il cambiamento degli atteggiamenti è un tema affrontato dai primi anni ‘40. Penso sia però giusto iniziare questo articolo con una precisazione: L’atteggiamento di una persona influenza i pensieri mentre il comportamento ne influenza le azioni.
L’atteggiamento si riferisce alla visione mentale di un soggetto mentre il comportamento implica le azioni, i movimenti e le condotte dello stesso. Il primo si basa su esperienza e osservazione, il secondo sulle situazioni.

Fritz Heider, Psicologo, ha elaborato sul tema, in 19 anni di studi, la teoria dell’equilibrio cognitivo.
Secondo Heider ogni individuo è costantemente alla ricerca di un equilibrio tra i propri atteggiamenti e quelli dell’ambiente che lo circonda. Se buona parte di questi sono in armonia con quelli del contesto in cui l’individuo vive vi è equilibrio e gli atteggiamenti diventeranno sempre più accessibili e centrati.
Quando gli atteggiamenti dell’individuo sono invece in contrasto con quelli del contesto in cui egli vive vi è squilibrio, e il disagio determinato da questa situazione apre la strada al cambiamento dei propri atteggiamenti, o al desiderio di cambiare quelli del contesto.

Successivamente ad Heider, ci sono diversi studi sul cambiamento degli atteggiamenti, sia a livello psicologico che sociologico. La possibilità di influenzare gli atteggiamenti è ormai un tema fondamentale del marketing commerciale e soprattutto di quello politico.
Cambiare il proprio atteggiamento o quello del contesto (o degli altri o di altri contesti) è il dilemma individuale che, a volte inconsapevolmente, ci troviamo ad affrontare. Risolvere questo dilemma non è semplice ma può esserci d’aiuto per imparare a valutare quali elementi sono in grado di cambiare gli atteggiamenti altrui.
Il cambiamento degli atteggiamenti avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso la comunicazione e, valutando il valore di emittente – messaggio – canale – destinatario e contesto comunicativo, possiamo comprendere se saremo in grado di stimolare il cambiamento negli altri o meno.

  • Siamo una fonte autorevole? Abbiamo un messaggio chiaro?
  • Esiste un canale di comunicazione ed il nostro destinatario è disposto all’ascolto?
  • Il contesto favorisce un cambiamento degli atteggiamenti?

Sulla base delle risposte sarà possibile scegliere se intraprendere un dialogo per ottenere un cambiamento, se è meglio tentare di cambiare il nostro atteggiamento o, in alternativa, rivalutare se il contesto sia adeguato a Noi.

L’approccio comunicativo è quello più semplice e comprensibile nella gestione degli atteggiamenti. Va però considerato il fatto che oltre alla comunicazione esiste, in noi e negli altri, l’aspetto cognitivo sia superficiale (le nostre conoscenze che influenzano i nostri comportamenti ed atteggiamenti), sia profondo (le convinzioni, i valori che risiedono in profondità nella nostra psiche e che ci guidano nelle nostre scelte).

Il concetto di dissonanza cognitiva, cioè di distanza tra le nostre conoscenze, valori e convinzioni da quanto siamo in qualche modo “obbligati” ad assumere come atteggiamento, può avere a sua volta un ruolo importante.
In questo caso gli studi condotti da Festinger nel 1957 e negli anni successivi hanno evidenziato come gli individui possano sopportare fino ad un certo punto la dissonanza cognitiva tra i propri atteggiamenti naturali e quanto richiesto dall’ambiente. La riduzione della dissonanza cognitiva può avvenire in due modi: cambiando i comportamenti o cambiando la rappresentazione cognitiva.

Il cambiamento dei comportamenti, se agito costantemente nel lungo periodo, cambia gli atteggiamenti fino a rendere uno stato di dissonanza risonante. Sorridere davanti ad una persona che non ci piace, e farlo costantemente per un periodo significativo, abbasserà il nostro livello di disagio verso l’interazione con quella persona. Nel tempo il nostro atteggiamento (X non mi piace) diventerà meno evidente anche a noi stessi, riducendo la dissonanza cognitiva. Pensate all’impatto che questa riflessione può avere sui rapporti con i colleghi (chi non ne ha almeno uno che proprio non gli va a genio?).

Il cambiamento della rappresentazione agisce invece sull’altro lato della dissonanza. Riprendendo l’esempio di “X non mi piace” la riduzione della dissonanza può avvenire attraverso un’analisi più approfondita di X e della ricerca degli aspetti che potrebbero renderlo meno sgradevole. In questo caso, trovando una rappresentazione migliore di X, la dissonanza cognitiva si abbasserà e naturalmente il nostro atteggiamento nei suoi confronti si modificherà.

Un ulteriore fatto osservato [1]Freedman e Sears – Lord Ross  e Lepper (1979) è che, una volta avviato un processo di modifica degli atteggiamenti, i nostri processi di apprendimento e di memorizzazione diventano selettivi verso le informazioni e le conoscenze che validano il nostro atteggiamento Come se la nostra mente lavorasse per consolidare una scelta che, in qualche modo, ci mantiene in una zona di comfort.

La riduzione delle dissonanze cognitive sarà positiva e consolidata quando è avviata come libera scelta di un soggetto. Questo ha un valore significativo in relazione ai meccanismi di ricompensa e punizione o coercizione spesso messi in atto in contesti lavorativi e sociali. Senza scendere in situazioni drammatiche è sufficiente dire che un salario più alto per un ruolo che è fortemente dissonante con i nostri valori non sarà sufficiente a farci vivere serenamente la nostra scelta, anzi aumenterà nel tempo il nostro disagio.

Ikigai
Fino a questo punto abbiamo analizzato alcuni elementi essenziali per approcciare un percorso di miglioramento personale, la performance, la motivazione, le competenze, le attitudini e gli atteggiamenti. Come mettere insieme questi elementi?
Siamo andati lontano, fino in Giappone, per scoprire una filosofia, un concetto ed una rappresentazione che a nostro parere è particolarmente efficace per iniziare una riflessione su se stessi e sulle possibili strade che possiamo intraprendere.

La parola Ikigai in giapponese è una parola composta:

Iki in giapponese significa vita, esistenza.

Gai significa scopo, essenza.

Quindi una traduzione letterale di Ikigai potrebbe essere “scopo nella vita”, cosa già di per sé estremamente significativa per un individuo, ma la traduzione letterale è limitante, la parola Ikigai ingloba diversi significati che coinvolgono i nostri valori, desideri, passioni e necessità.
Riteniamo il concetto di Ikigai e la sua rappresentazione grafica (qui sotto presentata) particolarmente efficaci perché non offrono una sola possibile via. L’Ikigai si trova al centro, dove tutte le forze interiori ed esteriori si incontrano perfettamente, ma ci sono ulteriori 4 posizioni che possono avere comunque, in base alle situazioni ed alle necessità, una loro ragione di essere vissute ed interpretate.

L’Ikigai è una filosofia che stimola a valutare la nostra situazione partendo da quattro principi fondamentali in merito a quanto stiamo facendo (ossia ciò che facciamo come professione, ma non solo):

  • Quanto ami farlo.
  • Quanto sei bravo a farlo.
  • Quanto il mondo ne ha bisogno.
  • Quanto puoi essere pagato a farlo.

Nel valutare questi quattro elementi possiamo identificare se quanto stiamo facendo nella vita è per noi l’equilibrio perfetto (Ikigai appunto) o se si tratta di una missione, di una passione, di una professione o di una vocazione.

 

Perseguire solo quello che amiamo fare può offrire grandi soddisfazioni interiori, ma non un adeguato compenso economico, perseguire solo quest’ultimo può portare ad un senso di vuoto.
Entrambe le situazioni possono essere sostenute per un periodo limitato di tempo.
La rappresentazione grafica dell’Ikigai ci può aiutare a riflettere e capire dove siamo e, di conseguenza, su quali leve agire per spostarci verso il centro, verso quell’equilibrio che, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, è una naturale ambizione, se non una vera e propria necessità di ogni individuo.

 

Bibliografia 

  • Heider, Fritz (1946). “Attitudes and Cognitive Organization”. The Journal of Psychology
  • Festinger, L. (1957). A Theory of Cognitive Dissonance
  • Robert Richardson Sears: Frustrazione ed aggressione (1939)
  • Lord, C. G., Ross, L., & Lepper, M. R. (1979). Biased assimilation and attitude polarization: The effects of prior theories on subsequently considered evidence. Journal of Personality and Social Psychology

Massimo Carraro

Consulente e formatore, è specializzato nella consulenza e formazione in ambito commerciale e nel retail. E’ coautore del testo per lo sviluppo del potenziale personale, “Il metodo Fly High”. Attualmente ricopre il ruolo di C.E.O. della Carraro Consulting.

E-mail: carrmax@tin.it

Riferimenti

Riferimenti
1 Freedman e Sears – Lord Ross  e Lepper (1979

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