Creatività in Calabria. Ecco cosa abbiamo imparato su scuole, cinema e collaborazione
Tra gennaio e febbraio 2023, con La Guarimba Film Festival, abbiamo portato l’animazione cinematografica nelle scuole medie e superiori di tutte e cinque le province calabresi, attraverso laboratori didattici di cinque giorni.
Con la guida di un tutor e di un manuale realizzato ad hoc, gli studenti hanno realizzato i propri corti di animazione in stop motion, partendo dalla creazione della storia, fino alla proiezione dell’ultimo giorno. Hanno creato i personaggi con la plastilina, fatto le riprese di animazione, registrato i suoni e conosciuto strumenti di montaggio video. Tutto questo lavorando in squadre di 4 o 5 persone, composte casualmente.
Il progetto, finanziato dal bando “Cinema e Immagini per la Scuola” promosso dai Ministeri della Cultura e dell’Istruzione, prevede il monitoraggio dei laboratori e i loro risultati. Partendo da questa necessità, abbiamo voluto estendere l’indagine al contesto educativo in cui i laboratori si sono svolti, realizzando interviste, questionari e focus group per confrontarci sia con gli studenti che con il personale scolastico.
Qui trovate il report completo di attività e risultati, mentre in questo articolo mi concentrerò sulle tre cose che mi hanno colpito di più, come educatore e responsabile scientifico del progetto.
Ecco cosa abbiamo imparato lavorando per 5 settimane in 7 scuole, parlando con 147 studenti e 13 persone tra docenti, vicepresidi, insegnanti di sostegno e servizi sociali di ogni parte della Calabria.
1. La differenza la fanno le persone
Abbiamo lavorato in scuole e contesti molto diversi tra loro, da piccole scuole in piccoli centri abitati a grandi scuole in grandi città, come Reggio Calabria. Da contesti sociali molto sereni ad altri in cui la presenza di criminalità organizzata è un fattore rilevante nella vita dei ragazzi, molti dei quali possono avere genitori in carcere, interagire spesso con i servizi sociali a scuola e fuori, e avere la propria quotidianità scandita da queste dinamiche. Nella nostra indagine abbiamo intervistato il personale scolastico, sia per conoscere il gruppo di ragazzi con cui avremmo lavorato, gli spazi e le risorse a nostra disposizione, che il contesto sociale ed educativo del territorio. In particolare, abbiamo parlato con loro di:
- Quante opportunità abbiano gli studenti di partecipare ad attività creative
- Quanti spazi abbiano a disposizione per farlo, dentro e fuori la scuola
- Quante opportunità abbiano di fare rete, conoscere persone nuove e aprirsi al mondo
- Cosa serva per incoraggiare la loro creatività
In massima sintesi, in Calabria le attività creative nelle scuole abbondano, infatti molte scuole partecipano ai progetti europei (i cosiddetti “PON”) e coinvolgono associazioni locali, ma gli spazi e le opportunità di fare rete sono gravemente carenti. Tutte le scuole riferiscono che gli spazi per i ragazzi siano insufficienti all’interno e inesistenti all’esterno della scuola e che i ragazzi rimangano sempre molto isolati. Una frase che mi ha colpito molto intervistando un docente è stata: “i nostri ragazzi sono destinati ad andare via da qua. Dopo le superiori, l’università più vicina è a Catanzaro, o a Reggio. Ma per la maggior parte vanno a Roma” riferendosi alla poca voglia di investire tempo ed energie sul territorio. Si cresce con la consapevolezza che per costruire qualcosa sia necessario andarsene.
Quello che facciamo con La Guarimba ha molto a che fare col cambiamento di questa percezione, ma cosa abbiamo trovato nelle scuole? Cosa fanno loro? Questa è stata una delle grandi sorprese: ancora più del contesto sociale, delle strutture, dei fondi, la differenza la fanno le persone.
La capacità di offrire opportunità ai ragazzi dipende da un corpo docente che sappia lavorare in squadra, che comunichi tanto con l’interno e con l’esterno, che cerchi attivamente bandi, progetti, attività, che metta a disposizione le proprie competenze, i propri interessi e le proprie passioni, le relazioni e le connessioni che ha, per coinvolgere sia gli studenti che le famiglie in attività utili, ben definendo al proprio interno ruoli, compiti e regole.
Ancora più del contesto, conta la voglia di creare opportunità e coordinarsi per farlo. Dove questa voglia c’è, le scuole sono esemplari nel loro rapporto con studenti e genitori a prescindere dal contesto.
Per dare un’idea più concreta, per realizzare questo progetto abbiamo contattato 92 scuole. Il progetto alle scuole non costa nulla e richiede solo 10 ore di tempo distribuite su cinque giorni. Di queste 92, siamo riusciti a stipulare un accordo solo con 7 scuole. Sette. L’ostacolo più grande che abbiamo incontrato è stata la totale disorganizzazione della maggior parte delle scuole. Telefonate ed email senza risposta, referenti assenti, non definiti, telefoni non funzionanti, etc. La più grande difficoltà non è stata convincere le scuole della bontà del progetto, ma parlarne! Di queste sette scuole, un laboratorio è comunque saltato perché, nonostante contatti continui con noi, la persona referente non ha comunicato ai propri colleghi e studenti del progetto, facendoci trovare un’aula vuota al nostro arrivo.
Ci siamo poi accorti come le scuole molto attente alla comunicazione interna ed esterna siano anche quelle che offrono più opportunità ai ragazzi. Laboratori di programmazione informatica, spazi rinnovati e attrezzature tecnologiche ottenute tramite la ricerca di fondi, banchi mobili, presenza massiccia sui social network per raccontare le attività svolte, sperimentazione attiva di tecniche di formazione innovative e non formali, facendo lavorare gli studenti in gruppo, in autonomia ed evitando il più possibile la lezione frontale.
Abbiamo chiesto al vice preside di una di queste scuole, che ci ha detto di aver trovato una buona squadra da circa 6 anni, “quali differenze avete notato lavorando così?”
“Che quando c’è un giorno in cui noi alunni degli anni ‘80 non saremmo venuti a scuola, li troviamo sempre qua. […]Abbiamo ridotto tantissimo la dispersione scolastica. Anche perché abbiamo buoni rapporti con gli enti che collaborano sul territorio. Con i servizi sociali, con il comune e con le famiglie […] Se non cogli l’occasione di coinvolgere le persone, diventa complicato far sì che le persone vengano da te”
2. A collaborare si impara
Queste buone pratiche hanno chiaramente un effetto positivo sul comportamento delle classi, eppure c’è qualcosa di inaspettato che abbiamo rilevato in ogni singola scuola in cui siamo stati, sia nei contesti virtuosi che in quelli meno virtuosi. L’ultimo giorno di laboratorio, prima di iniziare le proiezioni dei corti prodotti dagli studenti, diamo loro un brevissimo questionario anonimo per valutare l’esperienza. Il primo grafico qui sotto rappresenta le risposte aperte in cui ci dicono cosa gli sia piaciuto di più, ma guardate il secondo grafico, quello pieno.
Il 30% dei partecipanti, con età prevalente tra gli 11 e i 13 anni, riporta spontaneamente di aver trovato utile imparare a collaborare. Quando abbiamo letto le risposte alla fine dei laboratori della prima scuola, siamo rimasti molto colpiti, ma lo siamo stati ancora di più quando abbiamo visto che accadeva in ogni singola scuola. Cosa stava succedendo?
Il primo giorno gli studenti ci raggiungono nell’aula predisposta al laboratorio, distribuendosi autonomamente e creando piccoli gruppi secondo le amicizie e le preferenze personali.
Dopo aver brevemente introdotto il laboratorio, li contiamo, stabiliamo il numero di squadre e chiediamo loro di contare ad alta voce uno dopo l’altro, da 1 al numero di gruppi. Il numero stabilisce la squadra, e questo fa sì che le persone adiacenti saranno in squadre diverse. Non è capitato in nessuna scuola che questo non generasse molti malumori nei ragazzi, che per il primo giorno e a volte anche il secondo ci hanno pressato per andare in questa o quell’altra squadra con gli amici, perché nel gruppo che si è formato non si trovano bene.
Il nostro approccio su questo è stato intransigente, ma dando grande supporto nelle singole squadre. Una componente importante e non programmata del laboratorio è stata quella di facilitare il lavoro di squadra, insegnare ai ragazzi come gestire i conflitti e contribuire in modo costruttivo e generativo alle decisioni da prendere, i compiti da svolgere e stabilire i ruoli durante le attività.
Abbiamo notato i miglioramenti nel comportamento degli studenti, ma leggere nei commenti come questo sia stato apprezzato da loro ci ha colpito tantissimo, per la maturità dimostrata e la sensibilità rispetto a questo tema. Ecco alcuni dei commenti in risposta alla domanda “Cosa hai imparato di nuovo che ti è piaciuto di più?”
3. Cosa serve? Spazi per socializzare, imparare e creare insieme
Questa domanda chiudeva tutte le nostre interviste con il personale scolastico, dopo aver parlato del contesto sociale ed educativo vissuto dai ragazzi, insieme a possibili carenze e difficoltà. Nelle risposte c’è un consenso pressoché univoco: servono centri culturali.
È stato molto interessante notare come la necessità di questi spazi sia stata descritta in modo diverso da ogni interlocutore, pur mantenendo sempre lo stesso significato. In pochi hanno usato l’espressione centro culturale, ma lo spazio descritto è una struttura stabilmente attiva, ad ingresso gratuito, che sia un centro di formazione con un’agenda fitta. Uno spazio che includa una biblioteca, eventualmente una sala cinema, aree relax adatte alla loro età in cui socializzare, magari con un’area all’aperto.
Questo spazio potrebbe fornire stimoli ai ragazzi e permetterebbe loro di socializzare e instaurare relazioni significative attraverso l’apprendimento collaborativo, di aprirsi al mondo attraverso attività e incontri dedicati e imparare cose che non c’è modo di affrontare a scuola. Un tema ricorrente è la necessità di acquisire e mantenere competenze manuali, attraverso laboratori di arte e artigianato.
Infine, ultima ma non per importanza, è pressante la questione delle disparità sociali. Citando alcuni docenti intervistati:
“[…] Io sono fortunata, fortunatissima ad essere tornata. Perché io appena laureata me ne sono andata, perché volevo lavorare […] come persona che dopo tanti anni è ritornata giù, mi rendo conto che le opportunità, qui sotto, non ci sono. […] Io sono quella che struttura e programma i progetti per i ragazzi, quando arrivano dei progetti PON li faccio per loro, scrivo la proposta formativa, le proposte stimolanti gliele creo, rompo le scatole ai dirigenti, proponendo attività […] Però oggi, alla mia età, mi rendo conto che non c’è niente”.
“Il problema di questi ragazzi, è che quando vanno fuori dalla scuola, lo stimolo viene solo dalle famiglie, ed è a pagamento. Il problema è che chi può, fa, e chi non può, non fa. Poi ecco le divisioni. […] Basterebbe una sala, un centro culturale, che non c’è.”
C’è un grandissimo bisogno di spazi per i ragazzi, in cui possano incontrarsi, conoscersi, imparare e creare insieme. Quando abbiamo chiesto loro cosa avessero imparato di nuovo che gli fosse piaciuto di più durante i laboratori, ci hanno risposto di imparare a collaborare, conoscere persone con cui non parlavano prima, fare amicizia. Quando abbiamo chiesto ai docenti cosa servisse per incoraggiare la creatività dei ragazzi, ci hanno risposto spazi in cui queste dinamiche siano l’ordinario, piattaforme pensate per l’incontro costruttivo e generativo, ora rarissime.
Come associazione culturale, grazie a questo progetto, abbiamo capito ancora meglio dove punta la nostra bussola e manterremo il nostro impegno in questa direzione. Abbiamo capito quanto sia importante la presenza di una Casa della Cultura moderna, che ascolti le esigenze dei ragazzi, il loro bisogno di stare insieme e confrontarsi, e condividiamo la nostra esperienza per coinvolgere e spronare, in questa direzione, tutti gli attori sul territorio che, come noi, hanno a cuore lo sviluppo di un posto sicuro in cui coltivare creatività, relazioni e opportunità.
Gabriele Tangerini
Nato e cresciuto a Roma, è un educatore appassionato di psicologia e arte. Con radici nella ricerca scientifica, si occupa di ricerca e progettazione culturale svolgendo indagini sul pubblico e sviluppando interventi formativi ad hoc. Attualmente studia Human-Computer Interaction presso l’università di Trento.
E-mail: gabriele.tng68@gmail.com